Father Mother Sister Brother recensione: Jim Jarmusch e i legami familiari
Con Father Mother Sister Brother, Jim Jarmusch torna al cinema con un trittico intimo e disincantato sui legami familiari. Ambientato tra il Nordest americano, l’Irlanda e la Francia, il film esplora con delicatezza il mistero che si cela tra i propri familiari. Cate Blanchett, Adam Driver, Charlotte Rampling e Indya Moore guidano un cast corale che alterna ironia e malinconia. Jarmusch costruisce tre episodi apparentemente distanti ma connessi da dettagli ricorrenti, in un affresco che riflette sulla distanza, sulla vicinanza e sull’impossibilità di conoscere davvero chi amiamo.
Jim Jarmusch ha costruito la sua carriera alternando humour surreale e distacco ironico. Con Father Mother Sister Brother, presentato a Venezia 2025, abbandona gran parte di quella postura per offrire un’opera più intima, segnata da tenerezza e osservazioni precise sulle fragilità che attraversano i rapporti familiari. Dopo Paterson, che già mostrava un lato contemplativo, il regista sembra ormai concentrato su una fase di maggiore maturità artistica, in cui non c’è più nulla da dimostrare ma molto ancora da condividere.
Tre capitoli per raccontare la famiglia
Il film si articola in tre episodi autonomi ma collegati da echi narrativi e visivi, come piccoli ritornelli che li uniscono. Ogni capitolo prende il nome da un legame familiare e ne esplora le dinamiche attraverso situazioni quotidiane, mai sopra le righe ma sempre dense di implicazioni.
Father
La prima storia è ambientata negli Stati Uniti, dove Jeff (Adam Driver) e sua sorella Emily (Mayim Bialik) si recano a visitare il padre anziano, interpretato con irresistibile eccentricità da Tom Waits. Il viaggio in auto già anticipa la distanza emotiva tra i due fratelli, troppo rigidi e trattenuti per sembrare davvero complici. La visita si trasforma in un confronto fatto di silenzi, piccoli gesti e sottili rivalità: il cibo portato da Jeff, le somme di denaro lasciate al padre, lo sguardo ironico di Emily. Jarmusch osserva con grazia questi scambi minimi, rivelando più di quanto i personaggi dicano esplicitamente.
Mother
Il secondo capitolo si sposta a Dublino. Charlotte Rampling veste i panni di una scrittrice inglese distante e glaciale, visitata una volta l’anno dalle due figlie. Cate Blanchett è Tim, diplomatica e contenuta, mentre Vicky Krieps è Lilith, ribelle e pronta a scalfire la compostezza materna con battute pungenti e gesti irriverenti. La scena del tè, con le figlie costrette a muoversi tra regole e formalità, diventa quasi un piccolo palcoscenico teatrale, sospeso tra ironia e tensione. Rampling incarna con eleganza una madre che esercita controllo attraverso la freddezza, mentre Blanchett e Krieps restituiscono la complicità di sorelle divise ma ancora unite da un affetto sottile.
Sister Brother
L’ultimo segmento, ambientato a Parigi, è forse il più dolce. Skye (Indya Moore) e Billy (Luka Sabbat), gemelli che si ritrovano dopo la morte dei genitori, si muovono per la città tra un appartamento ormai vuoto, un bar e qualche passeggiata. La loro intesa è immediata: gesti semplici, battute condivise, un linguaggio corporeo che rivela una vicinanza profonda. In questo episodio, Jarmusch lascia spazio a un affetto più esplicito, che si traduce in abbracci, sguardi e momenti di naturalezza. La malinconia della perdita si intreccia con la gioia del ritrovarsi, in un equilibrio delicato.
Uno stile riconoscibile ma rinnovato
Pur mantenendo il gusto per i dettagli eccentrici — come i brindisi con bevande insolite o i riferimenti all’astrologia — Jarmusch modula il suo linguaggio in modo più intimo. L’ironia non è più distante e graffiante, ma osservativa e gentile. La fotografia di Frederick Elmes e Yorick Le Saux regala immagini sospese, che esaltano i paesaggi innevati degli Stati Uniti, l’ordine elegante di Dublino e la malinconia poetica di Parigi. Il montaggio è scandito da transizioni lievi, con riflessi d’acqua e giochi di luce che accompagnano i passaggi da un capitolo all’altro.
Un ensemble equilibrato
Il cast è ricco di nomi prestigiosi ma distribuito con equilibrio: nessuno ha il ruolo del protagonista assoluto. Adam Driver, Cate Blanchett, Charlotte Rampling e Indya Moore condividono lo spazio con pari intensità, regalando ognuno un frammento di umanità. Tom Waits aggiunge la sua inconfondibile eccentricità, mentre Vicky Krieps illumina la seconda parte con la sua energia imprevedibile.
Il filo rosso della malinconia
Ciò che rende Father Mother Sister Brother più di un semplice trittico è il filo emotivo che lega i tre episodi. La distanza, la difficoltà di comunicare, ma anche i lampi di complicità e affetto emergono in ogni storia, creando un ritratto corale della famiglia come luogo insieme familiare e misterioso. La musica di Jarmusch e Anika Henderson accompagna con leggerezza, trasformando ogni capitolo in una variazione sul tema della memoria e dell’intimità.
La recensione
Con Father Mother Sister Brother, Jim Jarmusch conferma la sua capacità di reinventarsi senza mai rinunciare alla sua identità. Il film non cerca facili consolazioni né messaggi rassicuranti: osserva i rapporti familiari per quello che sono, complessi, contraddittori, spesso fatti di silenzi più che di parole.
La sua forza sta nella delicatezza: non ci sono grandi rivelazioni né drammi gridati, ma una serie di piccole epifanie che emergono da un gesto, da un sorriso trattenuto o da una battuta pungente. Blanchett e Krieps, nelle vesti di sorelle in perenne attrito, regalano momenti di ironia irresistibile, mentre Moore e Sabbat nel segmento finale trasmettono con naturalezza un’intimità che raramente il cinema riesce a catturare.
Pur nella sua struttura tripartita, il film possiede una fluidità sorprendente: gli echi tra gli episodi, i dettagli ripetuti e le atmosfere musicali costruiscono un insieme coerente e poetico. Jarmusch realizza così un’opera che, pur parlando di incomunicabilità, finisce per avvicinare lo spettatore ai suoi personaggi.
Father Mother Sister Brother è un’opera lieve e malinconica, che trova la sua forza nella semplicità e nella capacità di trasformare la quotidianità in cinema. Una delle prove più mature e intime di un autore che, senza clamori, continua a rinnovare la sua voce.
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