Gucci Cosmogonie ha sfilato a Castel Del Monte in Puglia. Prosegue così il dialogo del Direttore Creativo di Gucci, Alessandro Michele, con una serie di importanti luoghi storici, un dialogo che questa volta vede protagonista un sito di incredibile valore universale riconosciuto e protetto come Patrimonio dell’Unesco dal 1996, gestito dal Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei Puglia.

Noto per la sua forma geometrica, unica nel suo genere, Castel Del Monte è frutto del genio creativo di Federico II di Svevia che ne ideò la costruzione – intorno al 1240. Situato a 540 metri sopra il livello del mare, il castello si trova ad Andria, Puglia, e gode di una posizione straordinaria su una collina illuminata dal sole a tutte le ore del giorno.

Castel Del Monte, grazie all’armoniosa combinazione di elementi diversi provenienti dal Nord Europa, dal mondo Islamico e dall’antichità classica, rappresenta perfettamente il crocevia di popoli, culture, civiltà e religioni che è il Mediterraneo.

Gucci Cosmogonie: la sfilata evento a Castel Del Monte

L’ispirazione di Alessandro Michele per la nuova collezione Cosmogonie si ispira ad Hannah Arendt e Walter Benjamin che condividono un comune destino da esuli. Entrambi ebrei e tedeschi, fuggono dalla Germania per incontrarsi la prima volta a Parigi negli anni ‘30. L’occasione è la partecipazione a dibattiti tra esiliati che si svolgono a casa dello stesso Benjamin, in rue Dombasle 10.È l’inizio di un’amicizia profondissima.

In una lettera del 1937, Benjamin scrive alla Arendt: “le corde della mia gola nitriscono già dall’impazienza di confrontarsi con le Sue. Toutes mes amitiés”. Il fitto scambio intellettuale si intreccia alle vicende biografiche. All’inizio degli anni ‘40 la situazione politica si aggrava e i due decidono di andare in Portogallo per tentare una via di fuga verso gli Stati Uniti.

In quel momento Benjamin consegna alla Arendt alcuni dei suoi manoscritti, tra cui le note Tesi di filosofia della storia. L’epilogo della vicenda è noto. Arendt riesce a raggiungere New York. Benjamin viene invece bloccato dalla polizia di frontiera e muore suicida al confine con la Spagna.

A distanza di anni, nel 1968, Arendt pubblica un saggio su Benjamin. Si tratta di un omaggio delicato e sorprendente all’amico tragicamente scomparso. È il tentativo, carico di affetto e intimità, di raccontare la figura del pensatore tedesco che qui viene descritto come uno straordinario pescatore di perle: un soggetto poetico, marginale e radicalmente eccentrico rispetto all’ortodossia prevalente.

In questo testo Arendt si sofferma anche sulle ultime ore di vita di Benjamin: il 26 settembre 1940, alla frontiera franco-spagnola, mentre stava per emigrare in America, Walter Benjamin si tolse la vita. I motivi erano diversi: la Gestapo aveva requisito la sua abitazione parigina con la biblioteca (aveva potuto salvare dalla Germania «la metà più importante») e una buona parte dei manoscritti, ed egli aveva motivo di preoccuparsi dei manoscritti che, ancora prima della sua fuga da Parigi a Lourdes nella Francia non occupata, aveva potuto collocare nella Bibliothèque Nationale per mezzo di Georges Bataille.

Cosmogonie: tutti i look della sfilata

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Come poteva, proprio lui, guadagnarsi da vivere senza le lunghe raccolte di citazioni e gli estratti? La domanda retorica della Arendt è una consegna preziosa e commovente che interroga il lascito di Benjamin. Come ricorda Viviana Gravano, questa domanda non può non far pensare che, “eliminata la possibilità di assemblare la sua rete di citazioni per costruire un suo pensiero, Benjamin ha pensato bene di doversene andare per sempre. In altre parole ha enunciato, in pieno Nazismo, che per poter dire qualcosa non si può fare a meno del pensiero dell’altro”. Secondo questa interpretazione Benjamin non avrebbe potuto salvarsi senza quella fitta trama di richiami, rimandi e riferimenti che avevano da sempre animato il suo pensiero composito.

Benjamin è, in fondo, un collezionista di citazioni. Le rinviene dal fondo del mare, come perle rare che vengono riportate in superficie. Le ricompone, come lacerti di pensieri che devono essere ricomposti, riassemblati, riattualizzati. Le riannoda in un appassionato lavoro di montaggio, svelandone connessioni e articolazioni.

Questa sua abilità straordinaria di illuminare collegamenti altrimenti invisibili, rende Benjamin la figura paradigmatica di chi pensa attraverso costellazioni. Un termine che lui stesso trasforma in concetto filosofico. Ciò che a prima vista può sembrare atomizzato e disperso, come le stelle nel cielo, diventa agli occhi di Benjamin un assemblaggio di complicità: una struttura connettiva che rischiara il buio attraverso l’epifania di una costellazione.

La costellazione per Benjamin è un’apparizione subitanea e carica di tensioni. È ciò che risulta dalla capacità di stabilire congiunzioni tra frammenti di mondi altrimenti dispersi: un pulviscolo febbrile di citazioni che si incendia nella possibilità di un contatto. Questa figura astrale illustra anche il rapporto di Benjamin con il passato. Secondo il filosofo tedesco la storia non è un contenitore di reliquie deprivate della loro carica eversiva, piuttosto una riserva di praxis immaginativa.

Questo potenziale si attualizza nel momento in cui frammenti e citazioni del passato si saldano con il presente all’interno di una nuova costellazione.

“Non è che il passato getti luce sul presente o il presente la sua luce sul passato, ma immagine è ciò in cui quel che è stato si unisce fulmineamente con l’adesso in una costellazione” (W. Benjamin).

Pensare per costellazioni significa dunque cogliere la sincronia “tra uno specifico momento presente e un altrettanto specifico luogo del passato, poiché solo dalla polarizzazione a distanza del loro entrare in costellazione hic et nunc, un certo passato e un certo presente acquistano la loro vibrante attualità” (G. Gurisatti).

Ed è proprio attraverso questo incontro che Benjamin riesce a scuotere il mondo con l’irruzione di nuove cosmogonie: inedite configurazioni di realtà capaci di romperei vincoli con la tradizione. Se c’è un pensatore che è riuscito a tenere insieme cose lontane nel tempo e nello spazio, riarticolandole in costellazioni esplosive, questo è Walter Benjamin.

Special guest alla sfilata: i Maneskin, Lana Del Rey, Emma Marrone, Alessandro Borghi, Benedetta Porcaroli, Dakota Johnson, Elle Fanning, Jodie Turner-Smith, Jannik Sinner, Marc Ronson, Jeremy O. Harris, Sinéad Burke, Lou Dillon, Ariana Papademetropoulus, Chuck Grunt, Paul Mescal, Leah Williamson, Mina Shin, Davika Hoorne e molti altri.

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