Il mago del Cremlino: l’analisi del potere, la recensione e l’intervista a Olivier Assayas

Russia, primi anni ’90. Nel caos successivo al crollo dell’URSS, l’ex artista d’avanguardia e produttore TV Vadim Baranov diventa l’architetto della comunicazione che sostiene l’ascesa di Vladimir Putin: discorsi, scenari, percezioni. Gli anni scorrono dai residui del regno Eltsin alle elezioni del 2000, dal Kursk alla Crimea, mentre un’unica figura sfugge al controllo di Baranov: Ksenia, spirito irregolare e refrattario al potere. Dopo quindici anni di silenzio, Baranov parla. Le sue rivelazioni confondono realtà e messa in scena.

Olivier Assayas trasforma Il mago del Cremlino (dal romanzo di Giuliano da Empoli) in una cronaca ampia della Russia post-sovietica vista attraverso gli occhi del “regista ombra” Vadim Baranov. Il film, scritto da Assayas con Emmanuel Carrère, sceglie la via del racconto in prima persona: un lungo colloquio con un professore americano (Jeffrey Wright) fa da cornice a una sequenza di flashback che attraversano tre decenni. Il risultato è un mosaico mobile, in cui la politica è show business, la televisione una fucina di miti e la retorica un’arma.

Vadim Baranov: il narratore che costruisce i racconti degli altri

Il mago del Cremlino

photo by Carole Bethuel

Paul Dano interpreta Baranov come un uomo di scena riconvertito alla strategia: dall’avanguardia teatrale ai reality show, fino all’ufficio politico in cui si coniano slogan e cornici narrative. Il suo sguardo è lucido, a tratti anestetizzato; il racconto procede con un tono misurato, come se la confessione stessa fosse un ulteriore dispositivo. Baranov confeziona storie per tutti, ma resta opaco nel proprio autoritratto: un’ombra che si muove tra uffici e dacie, capace di impostare agende e assorbire l’attenzione pubblica, ma incapace di guidare la sua vita sentimentale.

Putin secondo Jude Law: gesti, dettagli, rituali

La presenza di Jude Law dà corpo all’icona. Non c’è caricatura: una postura chiusa, la stretta di mano breve, il sorriso trattenuto. Il film lo chiama “lo zar” e lo inserisce in contesti dove la performatività del potere conta quanto le decisioni. Le sequenze legate alle udienze, ai corridoi, alle foto ufficiali mostrano come il cerimoniale diventi coreografia. Assayas non tenta una psicologia profonda: si concentra su facciate, rituali, superfici, cioè su ciò che Baranov può manipolare.

Tra storia e messa in scena: una timeline senza fiato

La traiettoria storica attraversa i momenti-chiave: lo sfinimento dell’era Eltsin, l’elezione del 2000, il Kursk, le guerre in Cecenia, l’annessione della Crimea, la rete e le bot farm; e con essa le comparse-chiave del sistema: Berezovsky (Will Keen), Sechin (Andrei Zayats), Prigozhin (Andris Keiss). Tom Sturridge interpreta il banchiere Dimitry Sidorov, contraltare privato di Baranov, mentre Alicia Vikander è Ksenia, figura laterale e libera che scompagina regole e appartenenze. Questa densità dà energia e, allo stesso tempo, asseconda la sensazione di un flusso continuo in cui gli eventi, compressi, rischiano di perdere le radici emotive.

L’architettura formale: sguardo, luce, montaggio

La fotografia di Yorick Le Saux mantiene un rigore elegante: vetri, saloni, luci fredde per il potere; camere d’albergo, platee televisive, stanze private per l’altra faccia dello spettacolo. Il montaggio di Marion Monnier abbraccia il fiume di episodi con tagli netti e ritorni: la cornice con il professore governa l’orientamento dello spettatore. La scenografia di François-Renaud Labarthe lavora su ambienti stratificati, tra modernità lucidata e residui novecenteschi; i costumi di Jürgen Doering sostengono i ruoli sociali: completi impeccabili, tailleur che parlano prima delle parole.

Assayas e Carrère: due penne per un’unica macchina narrativa

Il mago del Cremlino Paul Dano

photo by Carole Bethuel

Il lavoro di scrittura incrocia la vocazione itinerante di Assayas con l’acutezza analitica di Carrère. L’impostazione privilegia l’idea: come nasce un racconto pubblico? Quali tecniche lo fissano nella memoria collettiva? C’è ironia, ma prevale la lucidità: un’osservazione sistematica del funzionamento della propaganda, dalla televisione alla rete. Il rischio, a tratti, è quello di un’esposizione laboriosa: la voce narrante insiste, i passaggi didascalici si allungano, e la dimensione intima di Baranov rimane schermata proprio dalla sua retorica.

Ksenia: la crepa nel vetro

Nello scacchiere di uomini, Ksenia (Vikander) è il fuori campo che resiste all’ordine: non appartiene, non si lascia archiviare. È una presenza che interrompe i discorsi, non una musa. La sua traiettoria incrocia quella di Sidorov (Sturridge), accentuando il dissidio tra ascesa sociale e desiderio di autonomia. Ogni volta che Ksenia entra in scena, il film respira: non c’è più la cronaca dell’apparato, c’è la frizione con il privato.

Attori e personaggi: un coro aspro

Paul Dano sceglie un andamento controllato, quasi ipnotico, coerente con un protagonista che ha trasformato la distanza in mestiere. Jude Law lavora per sottrazione, costruendo un repertorio di gesti memorabili. Will Keen presta al suo Berezovsky una sicurezza tagliente; Tom Sturridge è un antagonista elegante; Jeffrey Wright governa la cornice con calma autorevolezza. In questo coro, Alicia Vikander aggiunge leggerezza e ferite.

Intervista con Olivier Assayas

Intervista a Olivier Assayas

photo by Carole Bethuel

Come ha scoperto il romanzo di Giuliano da Empoli? Ne ha colto subito il potenziale drammatico e cinematografico?

“Giuliano da Empoli mi ha inviato il suo manoscritto all’inizio del 2022, prima che venisse pubblicato da Gallimard, e l’ho messo da parte per leggerlo quanto prima. Conosco Giuliano di persona, siamo vicini di casa in una remota località della Toscana. Quella stessa estate mi ha chiamato un produttore per consigliarmi la lettura di un romanzo che secondo lui poteva diventare un bellissimo film: Il mago del Cremlino!

Gli ho risposto che il libro era proprio lì, davanti a me, e che dalla mia finestra, riuscivo anche a vedere la casa dell’autore. A quel punto, incuriosito, l’ho letto subito. Oltre a uno stile impeccabile, il romanzo sfoggia un’acuta comprensione delle dinamiche di potere contemporanee. Pur trattando di eventi che conoscevo poco, mi ha sorpreso per l’originalità e la competenza con cui approfondisce tematiche politiche complesse. Tuttavia, non ero certo che potesse diventare un film. Mi sembrava troppo astratto, troppo intriso di dialoghi.

Tutti quegli elementi che nel romanzo fluiscono in modo naturale, come ad esempio la riflessione sul potere e la storia della Russia moderna, mi apparivano troppo spinosi per il grande schermo. Ricordo di averci pensato a lungo, poi ho richiamato il produttore per spiegargli il motivo per cui, a mio avviso, l’adattamento de Il mago del Cremlino presentava delle difficoltà insormontabili che non sapevo come risolvere.”

Alla fine, però, ha cambiato idea…

“Qualche giorno più tardi, il mio agente e amico François Samuelson mi ha chiamato per parlarmi ancora del libro: “Conosci Il mago del Cremlino? Sia Emmanuel Carrère che sua madre, Hélène Carrère-d’Encausse, ne sono entusiasti. Che ne pensi?” Anche a lui ho risposto che pur condividendo questo entusiasmo, non avrei saputo come adattarlo per il grande schermo. Il mio produttore Olivier Delbosc – con cui stavo lavorando nel film Il tempo sospeso – mi ha incoraggiato a pensarci meglio. Da quel momento, abbiamo iniziato a parlarne anche con François Samuelson ed Emmanuel Carrère. Ho riletto il romanzo e ho iniziato a capire che forse c’era una possibilità di adattamento e che la collaborazione con Emmanuel avrebbe potuto offrire il giusto approccio.

Ci conosciamo da molto tempo, abbiamo esordito entrambi come critici cinematografici in un ambiente in cui si conoscono tutti. L’idea di collaborare ad un progetto ambizioso era molto stimolante. Emmanuel conosce la storia della Russia per via del suo background familiare, parla il russo, ed è molto più ferrato di me sulle vicende della Russia contemporanea; inoltre ha condotto un’inchiesta sulla Russia post sovietica. Quindi mi sono convinto che Il mago del Cremlino possedesse tutti gli ingredienti per poter realizzare un film importante, il cui sviluppo sarebbe stato più chiaro nel corso del tempo.”

In che modo ha lavorato per portare il libro sullo schermo al fianco di Emmanuel Carrère? Vi siete presi delle libertà creative?

“Durante questa collaborazione, io e Giuliano da Empoli siamo diventati amici; lo considero una sorta di angelo custode. Nonostante il successo del romanzo e le numerose offerte ricevute dalla concorrenza, Giuliano non ha mai dubitato di voler far adattare il suo libro da me ed Emmanuel. Ci ha dato il massimo supporto, ben sapendo che il film si sarebbe discostato un po’ dal libro. Era necessario prendersi delle libertà, per offrire un movimento visivo alle varie situazioni spesso statiche e ricche di dialoghi, descritte nel libro; per trasmettere in modo cinematografico gli eventi storici che permeano la narrazione; per catturare l’energia di un’era, gli eventi cruciali, l’imponenza delle ambientazioni. Inoltre mi interessava approfondire il personaggio di Ksenia, perché secondo me era essenziale inserire una forte figura femminile nella storia.”

L’oscuro faccendiere Vadim Baranov riesce ad affascinare nel modo in cui plasma, in silenzio, quasi segretamente, il nuovo uomo forte della Russia.

“Non sapevo nulla del modo in cui Putin è arrivato al potere, e ho trovato la storia molto avvincente. Né sapevo che Vladislav Surkov fosse stato una delle fonti di ispirazione di Baranov, anche se i due uomini non devono essere confusi. Surkov è odioso mentre il nostro Baranov, pur essendo complice delle peggiori azioni del regime e in qualche modo perverso, conserva una certa umanità. Lo abbiamo trattato intenzionalmente con meno indulgenza rispetto a quanto abbia fatto Giuliano nel suo romanzo, soprattutto perché il suo libro è stato scritto prima dell’invasione dell’Ucraina.

Quando Paul Dano ha letto una delle prime versioni che gli avevo inviato per sapere cosa ne pensasse, mi ha risposto in modo conciso e arguto: “Il soggetto del film riguarda la complicità e il modo in cui la fortuna o le situazioni della vita, ci rendono complici nel male”. Baranov è caratterizzato da distacco emotivo, ha un atteggiamento nonchalant che maschera perversità e alla fine verrà condannato per collusione con il potere e quindi con il male. La sua storia ha un’eco universale: mostra come ognuno di noi, nel suo piccolo, può diventare complice dei fatti più deprecabili della nostra epoca.”

Vede dei parallelismi tra il mondo di Baranov e l’attuale clima politico-mediatico, dove spesso la narrazione diventa realtà?

“Qui si parla di eventi accaduti dieci anni fa, quando le strategie politiche messe in campo, hanno prodotto effetti devastanti. È persino superfluo dirlo, perché oggi ne siamo tutti coscienti, ma volevo mostrare come le strategie all’interno della cerchia più stretta di Putin hanno ridefinito la politica moderna.”

Spesso sembra che nell’orbita di Baranov, gli oligarchi e le figure di spicco mediatiche siano dei semplici burattini.

“Baranov è un manipolatore la cui intelligenza strategica gli conferisce un vantaggio su tutti gli altri, compresi i suoi stessi alleati. Agisce con una profonda consapevolezza delle trasformazioni che plasmano il mondo contemporaneo nonché il mutevole campo di battaglia della politica moderna. È in questa ottica che Baranov sposta la guerra sul terreno di Internet. Come dice nel film: “Gli americani hanno inventato l’algoritmo, sta a noi usarlo meglio di loro!”. In un certo senso, Baranov capisce che il mondo sta cambiando e che per sopravvivere in questo scenario in rapida evoluzione, bisogna essere più veloci, forti e lungimiranti dei propri rivali, per non rischiare di esserne schiacciati.”

Concorda sul fatto che il film si suddivide in tre capitoli principali? I giorni esaltanti del dopoguerra sovietico degli anni ’90, l’ascesa al potere di Putin e poi il consolidamento della tirannia.

“Assolutamente sì. C’è il periodo strettamente post-sovietico – i primi anni ’90 – in cui i giovani sentivano che il mondo fosse loro e che dal crollo dell’Unione Sovietica sarebbe emersa una democrazia, capace di reinventarsi secondo modalità che erano state negate ai loro genitori. Quel breve momento di libertà ha coinciso con la presidenza di Eltsin, anche se quella democrazia nascente era in gran parte nelle mani degli oligarchi. A poco a poco, quel sussulto di libertà è stato soffocato, scoraggiato e infine schiacciato, lasciando il posto a un regime che ora assomiglia a quello sovietico, versione 2.0.”

Il personaggio di Boris Berezovsky, inizialmente sostenitore dell’ascesa di Putin, finisce per diventare uno dei suoi principali oppositori.

“Tutto ciò che riguarda il personaggio di Boris Berezovsky è stato reso il più fedelmente possibile e, non essendo più in vita, possiamo parlare di lui con maggiore libertà. Per quanto riguarda gli altri personaggi, siamo soggetti a un rigoroso controllo legale; quindi, a volte abbiamo dovuto attenuare alcune descrizioni per evitare il rischio di diffamazione. Il Berezovsky del film è abbastanza fedele alla sua reale identità: un professore di matematica che ha approfittato del crollo dell’impero sovietico per costruire un vasto impero economico che lo ha portato al potere. È diventato il consigliere ombra di Eltsin, che all’epoca aveva problemi di salute, al punto tale da diventare virtualmente il presidente della Federazione Russa durante il secondo mandato di Eltsin. Ma è stato anche il primo a capire che sotto Eltsin il Paese era destinato al disastro: Eltsin non era in grado di portare a termine il suo mandato ed era necessario un successore per stabilizzare il sistema.

Per questo motivo, per sostituirlo, ha cercato una figura ancora relativamente sconosciuta e potenzialmente malleabile: il capo dell’FSB, Vladimir Putin. Quando Putin è diventato presidente, la rivalità tra i due uomini non ha fatto altro che intensificarsi. Berezovsky era impotente di fronte alla macchina del controspionaggio russo, e così ha dovuto rinunciare alla sua fortuna ed è stato costretto all’esilio. Nel 2013 è stato trovato impiccato nel bagno di una delle sue residenze in Inghilterra.”

Chi è Ksenia, l’unico personaggio femminile in questo mondo profondamente dominato dagli uomini? È lei l’incarnazione della vera libertà?

“In questo mondo al maschile, dove la libertà di pensiero, di azione e di espressione è estremamente limitata, ho voluto inserire una giovane donna dotata di autonomia e intelligenza analitica che le consentono di giudicare l’uomo che ama e le sue azioni. In nome del loro amore, del loro passato comune e dell’idealismo della loro giovinezza, Baranov si sente obbligato nei suoi confronti. Ma proprio come è accaduto con Berezovsky, seppur con diverse modalità, Ksenia mette in discussione Baranov, lo sfida, e non si lascia mai ingannare dai suoi intrighi. La donna diventa una delle principali forze motrici della narrazione.”

Secondo Lei, questo film è più un thriller politico, un’opera incentrata sui personaggi o una riflessione sul potere?

“Secondo me, è tutte e tre le cose insieme! Il film mira a dare forma umana a realtà politiche complesse e a sintetizzarle in questioni accessibili al pubblico a cui non è richiesta per forza la conoscenza della storia. Volevamo ridurre i fatti alla loro essenza, mostrare la loro rilevanza nella loro universalità. Non si tratta solo di Vladimir Putin o della odierna Federazione Russa, ma di questioni più ampie e universali.

Quando ho conosciuto Giuliano, gli ho detto che trovavo il suo libro avvincente e che immaginavo avesse attinto a fonti di alto livello all’interno dello Stato, per poter restituire un resoconto tanto dettagliato dei meccanismi interni del potere. Ma lui mi ha risposto: “Niente affatto. Sono stato in Russia quattro o cinque volte e non ho mai avuto una talpa all’interno del governo. Però ho ricoperto il ruolo di Assessore alla Cultura del Comune di Firenze nella giunta guidata da Renzi, continuando a collaborare con lui anche quando è diventato Presidente del Consiglio. In fondo le modalità del potere, il suo linguaggio e i suoi metodi, sono sempre gli stessi, sia in Russia che in Italia. Ho capito come funziona il potere russo mentre osservavo, giorno dopo giorno, il modo in cui operava il potere italiano”.”

Putin viene ritratto come un personaggio profondamente complesso.

“Secondo me tutta la politica appartiene al regno della complessità, senza semplificazioni o demagogia; qui non siamo al telegiornale. È un mondo difficile da afferrare e da comprendere, un mondo in cui spesso la spiegazione più contorta è quella più autentica e vera. Le sfumature delle strategie politiche variano da paese a paese, da un’epoca all’altra, ma in fondo l’essenza del potere resta sempre la stessa. Giuliano, come tutti i politici, ha letto Machiavelli e Baltasar Gracián, e anche se non applica i loro principi alla lettera, ne comprende i meccanismi e le costanti che gli consentono di costruire tutto il resto. È questo il criterio attraverso il quale ho considerato la politica e riflettuto sul mio tempo.”

Ha immaginato il modo in cui il film verrà accolto considerato l’attuale clima geopolitico, in particolare in Russia e in Occidente?

“Fin dall’inizio abbiamo deciso che distribuire il film in Russia era fuori discussione. In ogni caso, quando entra in gioco la politica, la percezione del pubblico diventa imprevedibile. Quando ho diretto Wasp Network, che trattava di eventi piuttosto lontani nel tempo, pensavo di poter raccontare quella storia in modo abbastanza libero e autentico. Tuttavia, mi sono reso conto che gli animi erano ancora molto accesi e il film ha suscitato forti reazioni da parte dei cubani residenti a Miami, anche se non li abbiamo rappresentati né meglio né peggio dei cubani che vivono a Cuba. Viceversa, pensavo che Carlos avrebbe suscitato reazioni politiche veementi, invece non è stato così. Quindi, non ho idea di quali reazioni susciterà Il mago del Cremlino. Penso solo che, essendoci attenuti ai fatti, il film non avrà troppi problemi.”

La recensione

Il mago del Cremlino è un film sulla potenza della forma: discorsi, immagini, coreografie del potere. Assayas mette in scena non l’interiorità dei leader, ma l’officina che ne rifinisce l’immagine. Ne viene un cinema freddo e lucidissimo, che preferisce il processo al romanzo, l’architettura alla catarsi. La scelta della cornice confessionale — il lungo racconto a un professore americano — dà continuità ma esige ritmo e variazioni: quando la voce si fa insistente, l’onda narrativa rallenta; quando entra in campo la politica come spettacolo, il film ritrova spinta.

Paul Dano interpreta Baranov come un uomo che ha dismesso la passione per indossare la neutralità: l’eloquio piano, la faccia quasi immobile, la postura che si confonde con le stanze. È un’idea forte del personaggio, e non sempre calorosa. Al contrario, Jude Law incide a colpi di dettaglio: un labbro che scivola, un sopracciglio, una pausa. Ogni apparizione sposta l’asse del racconto, ricordando che l’immagine di un capo è un organismo vivo.

La cura visiva di Le Saux, l’ordine dei costumi, gli ambienti composti da Labarthe e il montaggio di Monnier lavorano all’unisono. Il mago del Cremlino affascina quando mostra la macchina del consenso in azione; perde intensità quando si affida alla spiegazione. Resta, però, un viaggio denso sul potere della rappresentazione e sulla fragilità di chi l’ha costruita per gli altri.

credit image by Press Office – photo by Carole Bethuel © 2025 Curiosa Films – Gaumont – France 2 Cinema

Andrea Winter

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Esperto di cinema e serie TV. La sua passione si è consolidata nel corso degli anni grazie a un costante impegno nel seguire da vicino gli sviluppi dell'industria dell'intrattenimento. E' costantemente aggiornato sulle ultime novità del mondo del cinema e delle produzioni televisive.

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