La ragazza di Stillwater – Dall’autore vincitore del Premio Oscar Tom McCarthy arriva un film drammatico che abbraccia famiglia, perdono e amore incondizionato. Bill Baker (il vincitore del Premio Oscar Matt Damon) è un operaio delle piattaforme petrolifere senza lavoro, che trascina la propria vita in Oklahoma dopo anni inquinati dalle droghe e dall’abuso di alcool.

La ragazza di Stillwater: il trailer ufficiale

Nella prospettiva di recuperare gli errori del passato, Bill si reca regolarmente a Marsiglia, in Francia, per portare visita alla figlia Allison (l’attrice nominata al Premio Oscar Abigail Breslin), condannata a scontare una sentenza di nove anni per l’omicidio della fidanzata Lena, un crimine per cui si proclama completamente innocente.

Allison trova un nuovo elemento che potrebbe permetterla di riaprire il processo e spinge Bill a ricontattare l’avvocato. Ma quando l’avvocato minimizza il valore di queste prove, Bill prende le redini dell’indagine trasformandola nella sua missione personale volta a trovare il vero colpevole, un uomo a cui Allison ha dato il nome di Akim. Messo alla prova dalle barriere linguistiche e culturali, Bill è in affanno fino a quando non trova riparo in un’inattesa amicizia con l’attrice teatrale francese Virginie (Camille Cottin) e la sua piccola bambina Maya (Lilou Siauvaud).

Mentre le strade di Marsiglia ospitano la sua ricerca del proverbiale ago nel pagliaio, Bill si trova in un contesto totalmente inatteso che lo avvicina ancora di più a Virginie e Maya. È un viaggio di scoperta interiore e liberazione da una vita che sembra costruita come un incastro difettoso. Fino a quando il suo bisogno di dimostrare l’innocenza della figlia va in conflitto con gli impegni presi con Virginie e Maya. Bill è solo con alcune scelte difficili che mettono in discussione la sua nuova vita e la sua ultima opportunità di redenzione.

Come racconta Tom McCarthy: “Ho iniziato a lavorare a La Ragazza di Stillwater circa dieci anni fa. Ero intenzionato a realizzare un thriller da ambientare in una città portuale europea. Ero stato ispirato da molti autori noir dell’area mediterranea, come Andrea Camilleri, Massimo Carlotto e Jean-Claude Izzo, la cui splendida trilogia di Fabio Montale mi ha condotto nella città francese. Mi è bastata una visita a Marsiglia e ho capito di aver trovato la mia ambientazione. Strati e dimensioni della città la rendono innegabilmente cinematografica, e la confluenza di varie culture in un contesto da luogo di mare la rendono ideale come tela in cui ambientare una storia.

Solo al termine della prima versione della sceneggiatura, ho compreso che non si trattava del film che volevo realizzare. Mancavano alcuni livelli, l’elemento umano e un punto di vista, tutti aspetti fondamentali che mi avevano avvicinato al noir di stampo mediterraneo. Tutti questi romanzi sono arricchiti dalla vita che anima e dialoga con il crimine, anche al di là del genere. Era mia intenzione riuscire a ottenere lo stesso risultato, a ogni costo. Ho lasciato la sceneggiatura per poi riprenderla circa sette anni dopo, quando ho avuto occasione di leggerla con occhi nuovi.

Mi piaceva l’ambientazione, molto, ma le mie preoccupazioni del passato rimanevano. Così ho contattato una coppia di sceneggiatori francesi, Thomas Bidegain e Noé Debré, a cui ho spedito una bozza. Abbiamo avuto una videoconferenza molto particolare, durante la quale mi hanno presentato con grande delicatezza alcuni passaggi per loro fondamentali nell’approccio alla scrittura. Poche settimane dopo sono volato a Parigi e ho passato qualche giorno chiuso in una stanza insieme a loro, ripensando il film con un nuovo processo creativo che da quel momento ci ha impegnato per diciotto mesi.

Ovviamente, da quel momento, tutto è cambiato nel mondo. L’amministrazione Trump era in carica e a molti Americani, come a tanti amici in giro per il mondo, è apparso che l’America avesse perso il proprio equilibrio. Un paese che ha sempre aspirato a essere un punto di riferimento in termini di giustizia, uguaglianza e libertà stava smantellando le proprie fondamenta, con tutto il mondo ad assistere attonito. La guida morale praticamente a brandelli con un messaggio unico espresso, “America First”, capace di sviluppare una mentalità che è entrata nelle teste di gran parte della popolazione. In parte è sembrata essere una reazione a decenni di declino dell’America rurale e la naturale richiesta d’aiuto dopo essere stati per anni inascoltati dal governo e dalle elite finanziarie. La sociologa Arlie Russell Hochschild ha brillantemente raccontato il contesto in un libro eccezionale dal titolo “Strangers in Their Own Land”. Questo volume mi ha permesso di costruire gran parte della personalità di Bill e allo stesso tempo mi ha permesso di sviluppare il punto di vista di cui avevo bisogno. Era arrivato il momento di girare La Ragazza di Stillwater.

Dalla scrittura alla produzione, La Ragazza di Stillwater è stata una collaborazione non solo fra talenti ma anche fra culture cinematografiche. Sono stato costantemente messo alla prova nel mettere in discussione il mio approccio e le mie motivazioni, cercando di apprendere lo stile autoriale francese. Non ho rinunciato a coinvolgere alcuni elementi chiave del mio passato come il direttore della fotografia Masanobu Takayanagi, lo scenografo Phil Messina e l’aiuto regia Walter Gasparovic, ma posso serenamente affermare che il 90% della squadra è stato di provenienza francese.

Vivere e girare a Marsiglia ha avuto un impatto straordinario sul film. Non abbiamo passato neanche un giorno in un teatro di posa. Ho percepito come tutti riuscissero a entrare ogni giorno di più nei meandri della città e questo rapporto è diventato simbiotico e ci ha permesso di cogliere l’identità più profonda di Marsiglia. Dagli straordinari Calanchi all’imponente Velodrome, fino alla vecchia prigione a Les Baumetts, non credo che sia stata giornata di lavoro o location che non ci abbia ispirato.

Parlando in termini fotografici, il mio DOP Masa Takayanagi ha stabilito di voler iniziare il film in Oklahoma con lenti anamorfiche, scelte per amplificare la solitudine e l’isolamento di Bill, limitando il più possibile la profondità di campo. La macchina da presa era statica, radicata a terra.

Quando Bill scende dall’aereo a Marsiglia, la macchina da presa comincia a muoversi, ad essere più spontanea, anche sporca nei movimenti, quasi a replicare molto dell’identità della città.

Al termine, quando ritorniamo in Oklahoma, abbiamo riportato con noi le lenti che avevamo usato, come se Bill avesse portato qualcosa con sé da questa esperienza. Solo la macchina da presa è tornata a essere ferma, una volta ancora, dimostrando che l’Oklahoma non è cambiato, sono solo Bill e Allison ad esserlo. Abbiamo girato l’ultima scena del film a mano per cercare di catturare il senso di intimità e immediatezza e approfondire così la connessione emotiva con Marsiglia, una città di cui non si potranno più liberare.

L’ultima nota è per riconoscere l’importanza che ha avuto Matt Damon per la realizzazione di questo film. L’intero cast è stato straordinario, da Camille Cottin ad Abigail Breslin, oltre alla nostra arma segreta, Lilou Siauvaud. Ma è l’interpretazione di Matt a essere l’ancora di tutto il film. Sono pochi gli attori in grado di mettersi completamente in gioco e contemporaneamente dissolversi nel ruolo. Una volta che Matt ha preso il ruolo, ho capito ancora meglio le complessità e le ambiguità di Bill. Questo film non avrebbe funzionato con un altro attore.”

La Ragazza di Stillwater è un film che parla all’America e al suo ruolo nel mondo. Affronta il nostro imperativo morale e la percezione che ne abbiamo. È una storia di liberazione che si mischia alla vergogna e alla colpa, capace di tenerci legati a un posto. È un film che ci indica la nostra necessità di essere amati e desiderati.

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