Rimini film 2022 – Il film “Rimini” di Ulrich Seidl arriva nelle sale italiane con Wanted Cinema dal 25 agosto, è stato presentato in concorso all’ultima Berlinale. “Rimini” è un film pungente, un ritratto spietato del mondo in cui viviamo ma sensibile alla caducità dell’esistenza. Un grande affresco d’autore, in bilico tra sordido ed epico.

Il protagonista Richie Bravo (Michael Thomas), ex stella della musica tradizionale austriaca, è un attempato cantante che vive in una villa un tempo sontuosa e si esibisce per pochi soldi in tristi alberghetti di Rimini, accogliendo annoiate comitive di anziani, e arrotonda come gigolò per alcune spettatrici solitarie, spendendo le residue energie erotiche.

In occasione del funerale della madre, rincontra il padre (Hans-Michael Rehberg), affetto da demenza senile, che si trova in una casa di riposo in Austria, e il fratello minore Ewald (Georg Friedrich). Ma la sorpresa arriverà con la comparsa di una ragazza, a sottolineare ancora una volta come tutti gli uomini sono prigionieri del loro passato.

Seidl ha costruito il personaggio di Richie Bravo addosso a Michael Thomas, alla sua capacità vocale e alla sua fisicità. Il regista lo aveva visto, infatti, 17 anni fa in Ucraina mentre si esibiva con la sua band, ammaliando il pubblico mentre cantava “My Way” di Frank Sinatra.

Anche per questo film, che segna il suo ritorno alla narrativa dopo due documentari, Ulrich Seidl ha lavorato con la sua fedele squadra. Con Veronika Franz, con la quale scrive le sceneggiature da 25 anni a partire da “Dog Days”, con il cameraman Wolfgang Thaler, che è il suo partner ideale perché utilizza il minor numero possibile di attrezzature per l’illuminazione e per la macchina da presa per essere pronto in ogni momento a cambiare il programma delle riprese, con Andreas Donhauser e Renate Martin, responsabili del design della produzione, che ben sanno soddisfare il suo gusto estetico.

La spiaggia romagnola coperta di neve, i paesaggi nebbiosi, gli alberghi decadenti di questo “Rimini” ispirano a Ulrich Seidl nuove derive esistenziali dove squallore e lusso, rimpianto e egocentrismo, sono due facce di una stessa medaglia.

Rimini film 2022: l’intervista a Ulrich Seidl

Prima di girare un film, lei dedica sempre molto tempo alla ricerca. Qual è stata la sfida più grande con Rimini da questo punto di vista?

“L’idea di scegliere Rimini è dovuta al fatto che i miei genitori ci portavano a trascorrere le vacanze al mare negli anni ’50. Vedo ancora me e mio fratello con i nostri pantaloncini neri mente giocavamo sulla spiaggia. Inoltre, a Rimini abbiamo trovato delle ambientazioni estremamente stimolanti e quasi ideali per il modo in cui ho immaginato la storia, in termini di immagini e di atmosfera.

C‘è stato anche un altro fattore decisivo, che poi si è rivelato una sfida in termini di logistica e di costi di produzione. Il film doveva essere ambientato in inverno, in un periodo in cui le spiagge, il mare, le cabine e i bar sulla spiaggia scompaiono nella nebbia. Tutti noi – l‘équipe cinematografica, gli attori, le comparse – ci siamo preparati per le riprese a Rimini alla fine di novembre 2017. Tutto era stato pianificato, tutto era stato prenotato, ma la nebbia non si voleva alzare e non si alzò. Un giorno di sole splendente dopo l’altro.

Così, ho rimandato a casa l’intero team e ho aspettato e aspettato. Solo all‘inizio dell‘anno successivo è arrivata la nebbia e non solo, Rimini non aveva mai visto così tanta neve come quell’interno. Questa situazione ci ha fatto sognare e la nostra gioia era immensa.”

Che cosa la spinge a lavorare su un nuovo progetto cinematografico? Sono i personaggi/le persone e le loro storie o inizia con un tema generale, un insieme di motivi da cui si evolve la narrazione? O qualcos’altro di completamente diverso?

“A differenza di un documentario, in cui l‘idea è solitamente un tema generale, come in In The Basement o Safari, un lungometraggio si sviluppa in modo diverso. Inizialmente non ho in testa un tema vero e proprio o una storia completamente sviluppata, ma attingo a varie idee e pensieri che avevo in serbo o che avevo immagazzinato in un determinato momento o che mi portavo dietro da un po‘ di tempo.

Può trattarsi di storie non ancora concluse che ho scritto a un certo punto, di immagini che non riesco a togliermi dalla testa o di eventi reali di cui ho sentito parlare o che ho letto. Le mie esperienze e le mie osservazioni confluiscono nell’insieme di idee creative tanto quanto i luoghi o i paesaggi specifici che ispirano scene o storie.

A volte si tratta anche di luoghi o location dove ho sempre voluto girare, ma che non sono mai stati collegati alla trama di un film. C’è anche un‘altra fonte di ispirazione per me, ovvero certi attori con i quali vorrei lavorare per i quali a volte ho già una trama vaga in testa.

Questo è stato il caso di Maria Hofstätter in Paradise: Faith, perché non avrei potuto immaginare nessun‘altra attrice per quel film. È stato così anche con Georg Friedrich, che interpreta il fratello di Richie Bravo nel film Sparta, che seguirà a Rimini. Ed è vero più che mai per Michael Thomas, che ha avuto un ruolo fondamentale nella creazione del personaggio di Richie Bravo in Rimini. Si potrebbe dire che con Richie Bravo, Michael Thomas interpreta il personaggio della sua vita.”

Come regista, che cosa la interessa particolarmente di Michael Thomas e come è arrivato a capire che doveva avere un ruolo da protagonista?

“Il ruolo di Richie Bravo è stato creato solo per lui. È, come si suol dire, fatto su misura. L’idea originale risale a molto tempo fa. Quando ho viaggiato con lui in Ucraina, circa 17 anni fa, per preparare le riprese di Import Export, l’ho visto per la prima volta esibirsi come cantante.

Una sera, in un ristorante ci allietava una band che suonava musica da bar, si alzò improvvisamente, afferrò il microfono e iniziò a cantare “My Way” di Frank Sinatra. Ero completamente rapito, nel giro di un battito di ciglia, affascinò il pubblico con la sua voce e il suo carisma. Quell‘esperienza è rimasta con me. Anni dopo, Veronika Franz ed io abbiamo scritto una prima versione della storia di Richie Bravo per un film sul turismo di massa, composto da diversi episodi.

Michael Thomas, alias Richie Bravo, era un cantante e intrattenitore, con un fascino da vecchia scuola, un Casanova, un cacciatore di vedove in un villaggio turistico all-inclusive. Questa era la trama. E poi di nuovo, molto più tardi, mi è tornata in mente la storia di Richie Bravo quando mi sono occupato della storia vera di un uomo tedesco che è finito in prigione per aver scattato foto di nudo a ragazzi in un paese povero e dimenticato da Dio della Romania e averle pubblicate su Internet.

Alla fine, queste due storie sono diventate due film su due fratelli. Richie Bravo, che cerca di far rivivere la sua fama passata in Rimini sulle coste adriatiche italiane, e suo fratello minore Ewald, che in Sparta, il secondo film del dittico, cerca di costruirsi una nuova vita all‘estero, in Romania. Alla fine, il padre dei due fratelli, affetto da demenza senile e che vive in una casa di riposo in Austria, si unisce a loro. Tutti e tre gli uomini sono prigionieri del loro passato.”

L’attore Hans-Michael Rehberg, che interpreta il padre di Richie Bravo in RImini, è morto nel novembre 2017. Può descrivere come è nata la collaborazione con il signor Rehberg?

“Trovare un attore adatto non è stato facile. Quando ho conosciuto Hans-Michael Rehberg, lui era già gravemente malato e rifiutò la mia offerta. Ma dopo qualche giorno sua moglie mi ha telefonato dicendo che, nonostante la sua situazione, era interessato al ruolo. Abbiamo poi fatto l’audizione con lui e i risultati non mi hanno molto convinto. Ero molto combattuto. Come potevo rifiutare un uomo gravemente malato che desiderava interpretare questo ruolo?

Quando, dopo due settimane, finalmente trovai il coraggio di respingerlo, la telefonata andò diversamente da come avevo immaginato. Sua moglie mi spinse a fargli fare altri provini, perché non poteva immaginare che lui non avesse soddisfatto i miei requisiti. E aveva ragione. Poche settimane prima dell’inizio delle riprese, cioè durante il periodo più intenso della preparazione, Rehberg ha dovuto trascorrere intere giornate nella sua stanza nella location scelta, una casa di cura nel sud dell’Austria. Doveva interagire con i pazienti che vivevano lì, doveva consumare i pasti con loro e partecipare al programma di terapia occupazionale.

In quei giorni era già molto indebolito e si stancava velocemente, ero molto preoccupato. Delle riprese a ritmi normali con lui sembravano impossibili. Ma le mie preoccupazioni sono state completamente spazzate via il primo giorno di riprese. Non appena è stato battuto il primo ciak, questo grande attore era un uomo completamente diverso. Non c’era traccia di stanchezza o di affaticamento. Ha recitato la sua parte in modo estremamente disciplinato e con grande empatia. Sapendo che quello sarebbe stato il suo ultimo ruolo, ha dato tutto se stesso. Un grande regalo per me e per il film.”

Si lavora sempre con le stesse persone, non solo davanti alla telecamera ma anche dietro. Si ha l‘impressione che ci sia una “famiglia Seidl” o “azienda Seidl”. Quali vantaggi vede in questo modo di lavorare e quali svantaggi?

“Se si vede ogni film, ogni nuovo progetto, come una nuova sfida, nella misura in cui tutto deve essere realizzato e organizzato, allora non può che essere vantaggioso avere un team che si è unito nel corso dei decenni. Vi faccio tre esempi. Lavoro con Veronika Franz da 25 anni. Abbiamo scritto insieme tutte le sceneggiature a partire da Dog Days e abbiamo ideato insieme tutti i concepts dei film (compresi alcuni che non sono ancora stati realizzati). In tutte le questioni artistiche è il mio primo punto di riferimento e una sorta di autorità di controllo. Sa come mettere le mie idee in prospettiva e chiedermi cosa significano davvero.

Da altrettanto tempo lavoro con il cameraman Wolfgang Thaler, che è il partner ideale per il mio metodo di fare film. Lavora con il minor numero possibile di attrezzature per l‘illuminazione e per la macchina da presa perché flessibilità durante le riprese è la parola d’ordine per me. Bisogna essere in grado di cambiare il programma delle riprese in qualsiasi momento ed essere pronti ad accogliere idee nuove e improvvise e a metterle in pratica immediatamente.

Inoltre, il set cinematografico dei miei film è quello che chiamiamo un set “vivente” intendendo che a volte davanti alla macchina da presa recitano persone “reali”, che non sono obbligate da un contratto a svolgere il loro mestiere ma impiegano anima e corpo nel ruolo. Questo richiede un rapporto di totale fiducia, soprattutto tra il cameraman e i protagonisti.

Andreas Donhauser e Renate Martin, responsabili del design della produzione, sono a bordo da molto tempo. Con loro condivido la preferenza per determinati luoghi e immagini, che si trovino in Romania, in Kenya o sull’Adriatico e una visione di come i luoghi dovrebbero essere. Per quanto mi riguarda, le location che mi suggeriscono sono quasi sempre luoghi che corrispondono al mio gusto estetico e mi ispirano per la realizzazione di una determinata storia.

Questo vale anche per l’arredamento dei set cinematografici, o perlomeno siamo quasi sempre d’accordo su ciò che non vogliamo dal punto di vista artistico, anche se a volte non siamo ancora riusciti a trovare esattamente quello che stiamo cercando. Anche quando abbiamo già optato per qualcosa, per esempio un’immagine particolare, continuano a cercare, perché ci potrebbe essere ancora qualcosa da poter migliorare. Questo può essere tutt‘altro che vantaggioso in termini di costi di produzione, ma è certamente rassicurante per un regista dal punto di vista artistico.

Sono una persona che non si accontenta facilmente. Tutte le persone che lavorano con me devono fare i conti con questa insoddisfazione. A volte può essere frustrante o addirittura demotivante, ma è inevitabile nella comune ricerca della realizzazione del miglior film possibile.”

I suoi film Rimini e Sparta, che sta ultimando, raccontano la storia di due fratelli che cercano fortuna lontano. Vede una parentela tra questi due progetti e la sua Trilogia del Paradiso?

“In definitiva, con Rimini e Sparta mi è successo qualcosa di simile a quanto accaduto con la trilogia di Paradise. Entrambi i progetti erano stati originariamente scritti come un unico film, i singoli filoni della trama dovevano essere raccontati parallelamente, intrecciati l‘uno all’altro e alternati. È stato durante il processo di montaggio che è stato chiaro che le storie dovevano essere raccontate singolarmente per avere il loro pieno impatto.

I tre film di Paradise raccontano le storie di tre donne e del loro desiderio inappagato di amore, sicurezza e sessualità. I luoghi dell’azione, un villaggio turistico sulla costa del Kenya, un campo estivo per adolescenti nella provincia austriaca e una tenuta di case unifamiliari alla periferia di Vienna, così come le singole storie sono tutte molto distinte, anche se i protagonisti sono tutti legati l‘un l‘altro.

Rimini e Sparta sono due film con protagonisti maschili. Sono anche legati l’uno all’altro. Due fratelli e il loro padre. Sebbene anche questi film raccontino storie molto diverse e sono ambientati in luoghi diversi, l’elemento unificante è la ricerca della felicità e il tentativo di lasciarsi alle spalle il passato. Ma il passato ti raggiunge, questa è l’amara o forse liberatoria verità che i protagonisti devono affrontare. Quindi sì, c’è una sorta di affinità tra la trilogia di Paradise. Questi film, Rimini e Sparta, parlano anche del desiderio d‘amore e del desiderio di essere amati, della realizzazione sessuale e del suo mancato raggiungimento e della solitudine che ne comporta.”

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