Sanctuary film 2023 – Zachary Wigon, regista acclamato dalla critica, firma questo thriller psicologico, sofisticato e seducente sulla ricerca di potere e controllo e sui ruoli che ricopriamo nelle nostre relazioni più intime.

Sanctuary film 2023: il trailer ufficiale

Erede facoltoso della catena di hotel del padre, Hal Porterfield (Christopher Abbott) ha una lunga relazione professionale con la dominatrice Rebecca Marin (Margaret Qualley); relazione vantaggiosa per entrambi. Ma all’indomani della morte di suo padre, sta a lui prendere le redini dell’azienda di famiglia e decide quindi di porre fine ai loro incontri. Tuttavia, Rebecca non è molto d’accordo.

Insistendo di aver plasmato lei Hal, rendendolo perfetto per questo nuovo ruolo di leader, Rebecca cerca di sfruttare il suo talento innato per la manipolazione, la seduzione e la coercizione per convincerlo a ripagare equamente il contributo senza prezzo che lei ha dato alla sua crescita. Nel corso di una notte ad alta carica emotiva, tra i due si scatena un tiro alla fune mentale durante il quale l’ago della bilancia del potere si sposta da uno all’altra, poiché ognuno cerca di avere la meglio. Hal non ha speranze? O il comportamento imprevedibile di Rebecca è tutto parte di una messinscena?

Margaret Qualley e Christopher Abbott sono i protagonisti del film, diretto da Zachary Wigon e scritto da Micah Bloomberg.

L’intervista con Zachary Wigon e Micah Bloomberg

Sanctuary film 2023

Zachary, Sanctuary è solo il tuo secondo film, e vanta interpretazioni indimenticabili sia da parte di Margaret Qualley che di Christopher Abbott. Come sei arrivato alla regia di questo film?

Zachary Wigon: “Conosco Micah da anni. Ho lavorato come scrittore per una serie che ha co-ideato e prodotto chiamata Homecoming. Un giorno di giugno nel 2020 – periodo in cui eravamo un po’ irrequieti per ovvi motivi – Micah e io eravamo al telefono. Mi stava raccontando che avrebbe voluto scrivere qualche scena a caso, giusto per avere qualcosa a cui lavorare durante il lockdown. Mi ha detto che i suoi film preferiti erano quelli basati sulle opere teatrali e mi sono subito venute in mente un paio di idee. Quel genere di film ha un’unica location, molti dialoghi e indaga la psicologia dei personaggi, che è ciò che amo studiare con i miei lungometraggi. Inoltre, se fai qualcosa di interessante a livello psicologico, con personaggi intensi, sei in grado di attirare grandi attori e grandi interpretazioni, che, secondo me, è l’aspetto più entusiasmante del fare cinema – vedere un attore prendere il copione e portarlo in un luogo che è sia vero che inaspettato.”

Avete discusso delle premesse del film in quell’occasione?

Zachary Wigon: “Era un po’ che volevo fare un thriller con una dominatrice. Trovavo interessante che la premessa contenesse un paradosso – i paradossi sono conflitti immediati e facilmente comprensibili che richiedono una soluzione. La dominatrice si trova in una posizione paradossale – ha, al contempo, tutto e nessun potere sul cliente. Questa rivelazione ci porta a farci domande profonde sul come e il perché certe persone si immergano negli scenari dei giochi di ruolo e nei reami della fantasia e come questi reami si intersechino o meno con “la vita vera”. Ho condiviso con Micah la bozza di un’idea per un thriller in cui una dominatrice deruba il suo cliente più facoltoso. Micah mi ha rivelato di aver scritto un atto unico su una dominatrice e un suo cliente in una stanza d’hotel qualche anno prima. Abbiamo convenuto che quegli elementi potessero funzionare bene insieme e quello è stato il nostro punto di partenza.”

Micah Bloomberg: “Il film parla dei giochi di ruolo. Del fatto che basta poco – un oggetto, delle parole specifiche, un tono particolare – per convincere il nostro cervello che qualcosa di palesemente immaginario sia vero. E del fatto che le cose che riteniamo piuttosto immutabili – il nostro carattere, il nostro rapporto col mondo – siano solo versioni elaborate dello stesso gioco. Quando scrivo, mi concentro su due domande in particolare. La prima è: “Chi comanda?”, che riguarda le dinamiche di potere tra i personaggi ed è quella che traina la scena. La seconda è: “Aspetta, ma cosa sta veramente succedendo?” e si riferisce alle rivelazioni e le idee della storia. Credo che molte storie possano riassumersi con queste due domande, ma io volevo scriverne una che rispondesse solo e solamente a queste. “Chi comanda? E aspetta un attimo, ma cosa sta veramente succedendo?”

A che punto del processo avete ingaggiato Margaret e Christopher e di cosa avete parlato inizialmente?

Zachary Wigon: “È successo tutto molto velocemente. Una volta ultimato il copione, abbiamo iniziato a pensare a chi avrebbe potuto interpretare Rebecca e Hal. Margaret e Chris erano i primi della mia lista. Sono entrambi giovani, ma hanno già alle spalle un portfolio eccezionale. Margaret ha letto il copione e le è piaciuto, quindi ci siamo visti a New York per parlarne davanti a un caffè. Una delle prime cose che mi ha detto appena seduti è stata che la relazione tra i personaggi le ricordava un pezzo jazz. È stato assurdo, perché anche io l’avevo pensata in maniera simile. Volevo degli attori con stili contrastanti ma complementari per quanto riguarda la loro presenza sullo schermo – non è l’ideale avere attori che “suonano lo stesso strumento” dal punto di vista dell’interpretazione. Margaret ha accettato e, credo una settimana dopo, ha accettato anche Chris. Sono un loro grandissimo fan.”

Che qualità hanno apportato ai loro ruoli che hanno aiutato a modellare i personaggi?

Zachary Wigon: “La presenza di Margaret sullo schermo mi ricorda una chitarra elettrica. È volatile, tagliente, imprevedibile e questo la rende perfetta per il personaggio – affronta di petto le scene e, all’improvviso, ha dei bruschi cambiamento emotivi e psicologici nel modo sia in cui si pone sia in cui tratta Hal. Chris è in grado di mostrare un’emozione, ma far capire che dietro la facciata ribollono altri mille sentimenti e idee. Non so come ci riesca. Hal è molto represso, il suo personaggio disprezza sé stesso all’inizio della storia.”

Micah Bloomberg: “L’essenza del personaggio di Hal – e che ho capito solamente guardando Chris calarsi nella parte – è che tutta la sua vita è una performance. Finge di essere la persona che crede di dover essere, ma sa di non essere. Riesce a essere sé stesso solamente durante le sessioni con Vanessa e lo osserviamo nel momento in cui questo suo spazio sicuro gli viene a mancare sotto i piedi. Ciò che mi entusiasma di Rebecca è che si trova in una situazione complicata e per difendersi ha a disposizione solo la sua testa e le sue parole. Hal ha soldi e gloria, ma lei è in grado di districarsi da una situazione impossibile dietro l’altra come MacGyver. A stupirmi dell’interpretazione di Margaret è stata la sua capacità di trasformarsi in un essere primitivo e pericoloso nonostante la grande eloquenza del personaggio. È impossibile prevedere ciò di cui è capace o la sua prossima mossa.”

Rebecca è un personaggio complicatissimo, che si trasforma varie volte nel film, evolvendosi di scena in scena. Avete deciso tutto nel dettaglio con Margaret?

Zachary Wigon: “Fino a un certo punto sì. Prima di iniziare le riprese abbiamo diviso il copione in sequenze simili a capitoli insieme a Margaret e Chris. Tipo: “Ok, in questo capitolo, Rebecca pensa questo. Qui, Hal pensa questo”. Così facendo abbiamo dato agli attori un’idea di come volevamo che progredisse l’atmosfera nel corso della storia. Detto questo, non credo che un regista possa dare più di un’idea generale di questa progressione – i dettagli degli sviluppi psicologici dei personaggi sono stati elaborati da Margaret e Chris stessi. Le riprese sono avvenute in ordine, cosa che immagino li abbia aiutati a fare propria quella escalation.”

Sanctuary è stato girato in soli 18 giorni. Avete fatto molte prove con Margaret e Christopher?

Zachary Wigon: “Se gli attori sono bravi e il copione valido, è meglio lasciar fare a loro. Abbiamo letto il copione tutti e tre una volta. Poi abbiamo provato due scene – una per tastare il terreno, per così dire, e l’altra per sbrogliarne la pianificazione particolare. Volevo accertarmi che Chris e Margaret fossero a loro agio. Mi ha rassicurato vedere che l’hanno capita al volo. Sono stati fantastici. Se non fossero stati così talentuosi, non ce l’avremmo fatta a chiudere le riprese in 18 giorni.”

Zachary, come hai sviluppato lo stile visivo del film?

Zachary Wigon: “Dal punto di vista tecnico, non vedevo l’ora di girare il film per via della sfida stilistica e visiva che avrebbe rappresentato raccontare la storia di due persone chiuse in un luogo per 90 minuti. La premessa narrativa imponeva certi vincoli visivi e mi intrigava scoprire come avrei potuto affrontarli. Ero certo che, dal punto di vista narrativo, il film sarebbe stato interessante, vista la solidità del copione e la bravura degli attori, ma all’inizio non sapevamo ancora se sarebbe stato possibile far sembrare il film un vero film e non le riprese di un’opera teatrale.

Due idee mi hanno aiutato ad affrontare la questione. Una è stata quella di dividere il film in capitoli e dare a ognuno di essi uno stile visivo leggermente diverso, sì, ma abbastanza da renderlo distintivo – al punto non da farlo stridere con gli altri capitoli, ma da far capire al pubblico un palpabile cambio di atmosfera. L’altra è stata quella di scegliere in quali momenti spingere al limite le possibilità della camera ai fini di un espressionismo stilistico – ad esempio, a un certo punto, la cinepresa si inverte su Hal, poi si gira sottosopra su Rebecca, zooma e torna normale. Con i movimenti di macchina si possono esprimere tante cose e se sono in sintonia con il ritmo della storia e delle interpretazioni, l’espressionismo visivo può stare al servizio della performance in maniera interessante.”

Micah Bloomberg: “Ciò che mi è piaciuto di Zach in questo film è che non si è dato tregua finché ogni ripresa e ogni scena non era perfetta. Ambientare una storia con soli due personaggi in una suite d’hotel equivale a mettere una camicia di forza al regista, ma Zach adora dilettarsi nell’arte dell’evasione. È una storia claustrofobica e ricca di tensioni, ma Zach ha insistito che ciò non voleva dire che dovessimo dipingerla su una tela piccola.”

Zachary Wigon: “È anche bene sottolineare che lo stile visivo ha senso solamente se scaturisce dal ritmo della storia com’è stata scritta, altrimenti è solo un esercizio di stile privo di significato. Un’ottima idea visiva enfatizza elementi impliciti o inerenti al copione. Se la storia e i dialoghi non sono interessanti, è impossibile avere buone idee visive. Quindi sono stato fortunato ad aver collaborato con Micah a questo film, perché in ciò che scrive si trovano sempre dettagli psicologici molto acuti. Il copione in ogni sua battuta è ricco di sfumature e particolari. Più chiaro è il ritmo della storia, più opportunità si hanno di rendere le cose interessanti visivamente.”

Zachary, avevate dei riferimenti precisi con la direttrice della fotografia, Ludovica Isidori?

Zachary Wigon: “Le ho fatto ascoltare un brano, “Spanish Key” di Miles Davis dall’album Bitches Brew. E le ho detto di volere colori molto saturi, ma niente di più. Credo che molti film contemporanei, specie quelli indipendenti, tendano a una palette desaturata, quindi volevo l’effetto opposto. Volevo colori forti per mettere sull’attenti lo spettatore, così come lo sono i personaggi all’interno della suite. E lei è riuscita a realizzare ogni mio desiderio; i colori risultano saturi, ma presentano anche una componente fumosa e morbida.”

Zachary, come siete riusciti tu e lo scenografo Jason Singleton a dare forma alla suite in cui, virtualmente, si svolge l’intero film?

Zachary Wigon: “Per me ogni elemento visivo è dettato dalle esigenze della storia e del copione. Dato che il film si svolge in un luogo solo, bisogna mantenere viva l’attenzione dello spettatore anche a livello puramente estetico. Quindi il set doveva essere complesso visivamente senza distrarre. Inoltre, per sottolineare la tensione, non volevo che la suite rispecchiasse l’idea che abbiamo del tipico posto in cui una dominatrice incontra i suoi clienti. Non volevo nulla di ultracontemporaneo, alla moda, con finestre enormi e mobili sensuali e moderni. Avevo pensato più a una suite in cui avrebbe potuto soggiornare una famiglia. Mi sono ispirato al design di interni di alcuni hotel che conosco a New York e Londra dallo stile massimalista ed eclettico, basato su colori pastello, e l’ho impreziosito con dei toni gioiello. Ho esposto la mia idea a Jason e lui l’ha semplificata e smorzata per non soffocare gli altri elementi del film.”

Senza rivelare troppo, il finale del film si può interpretare in vari modi. Che messaggio speri arrivi agli spettatori?

Zachary Wigon: “Io sono dell’idea che, una volta che il film è stato completato, le opinioni e le intenzioni di chi l’ha fatto non contano più nulla. Abbiamo avuto la nostra occasione di parlare, quando il film viene distribuito, sta agli spettatori decidere.”

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