Un vizio di famiglia (L’origine du mal), terzo film di Sébastien Marnier, con Laure Calamy, Doria Tillier, Suzanne Clément, Dominique Blanc e Jacques Weber, presentato alla 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, esce oggi nelle sale cinematografiche italiane, distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Un vizio di famiglia: il trailer ufficiale

La trama

In una lussuosa villa in riva al mare, Stéphane, una giovane donna, operaia in un conservificio, si ritrova in una famiglia ultraricca con un padre sconosciuto, la sua stravagante moglie, la loro figlia ambiziosa, madre di un’adolescente ribelle, e la loro inquietante cameriera. Qualcuno sta mentendo. Tra colpi di scena e bugie, il mistero cresce e il sospetto si diffonde.

«Il film parla della fine del patriarcato – afferma il regista – e l’idea era di avere solo donne nella storia, ad eccezione dell’origine del male stesso: il padre. All’inizio mi sembrava astratto e inattuabile, ma, mentre il film mi si formava in mente, ho capito che bastava semplicemente non fare un racconto naturalistico. Era una fiaba e avrei dovuto portare a termine l’idea originale».

L’intervista al regista Sébastien Marnier

Un vizio di famiglia

Jeanne dice a Stéphane: “Non c’è niente di peggio della famiglia. È come un veleno che ti scorre nelle vene contaminandoti e facendoti stare male”. Il film si può riassumere con questa affermazione?

“Il film non ruota attorno solo a questa affermazione! Soprattutto perché viene pronunciata da Jeanne, il personaggio interpretato da Céleste Brunnquell e che è il mio alter ego sullo schermo. Jeanne fa parte della famiglia, ma se n’è già allontanata, in qualche modo. È abbastanza distaccata da riuscire a dar voce alla tossicità dell’obbligo di agire come una famiglia a tutti costi. Per quella battuta, mi sono concesso un piano sequenza di un minuto e mezzo, così da rivolgere finalmente l’attenzione su Jeanne.

Al di là della sua eccentricità, è un personaggio molto riservato e non abbiamo idea di chi sia veramente – ed è esattamente come mi sento io all’interno della mia famiglia. Ho provato a trovare il mio posto al suo interno impersonando il ruolo del pagliaccio. Al contempo, da quando ero ragazzo, mi sono delineato come un osservatore distaccato, il che mi ha permesso di raccogliere moltissimo materiale per la scrittura.

Talmente tanto che per Un vizio di famiglia mi sono ispirato a diverse persone che conosco. Nonostante Jeanne sia un personaggio secondario, fa capire al pubblico l’intento del film. Di ritorno da un soggiorno all’estero per seguire la madre, si ritrova a ricoprire il ruolo passivo di osservatrice e quello attivo di persona coinvolta in questa villa infestata. Il film parla della famiglia come unità in cui tutti hanno un ruolo e, in quanto tale, è un film sugli attori.”

Esatto, e su uno degli attori in particolare, Jacques Weber, l’unico personaggio maschile del film e per cui proviamo sempre meno simpatia con l’avanzare della storia.

“Conosciamo la famiglia con gli occhi di Stéphane e quindi con una serie di pregiudizi, ma, col passare del tempo, vengono a galla diverse verità. Sono soddisfatto del lavoro con gli attori: i loro personaggi sono molto variegati e interessanti. Tuttavia non li giudichiamo mai, perché ognuno racconta la sua versione dei fatti.

Il film tratta del tramonto del patriarcato e l’idea era quella di avere una cast di sole donne contrapposte all’origine del male, ovvero il padre. All’inizio, temevo che potesse risultare troppo astratto e irreale, ma quando ho messo più a fuoco la pellicola, mi sono reso conto che la narrazione sarebbe stata innaturale. Era una specie di fiaba e quindi dovevo attenermi all’idea originale.

I rapporti tra i personaggi femminili sono di vario tipo: abbiamo amanti, sorelle, sorellastre e nipoti. Tutte vogliono amarsi l’un l’altra senza sapere veramente come farlo. Eppure, nonostante le circostanze, riescono ad avere interazioni fisiche e tenere. L’unica cosa che il personaggio di Stéphane vuole è trovare il suo posto in quella famiglia. È per questo che la sorellanza è l’idea alla base del film.”

Come hai costruito la dinamica tra tutti i personaggi femminili?

Un vizio di famiglia

“Sono piuttosto puntiglioso, ho degli appunti dettagliatissimi. Ho delineato i personaggi meticolosamente e con anticipo, definendo sia ogni loro stranezza ed eccentricità che il loro percorso di vita, e poi ho spiegato tutto alle attrici. Lo scambio con loro è stato molto proficuo e il fatto che io abbia selezionato personalmente ogni attrice ha arricchito Un vizio di famiglia. Ho integrato la loro energia e i loro tempi nei ruoli.

A dare forma ai personaggi ha contribuito molto il guardaroba. Ad esempio, non mi ero accorto di aver decisamente esagerato con Dominique Blanc, che interpreta il personaggio più eccentrico del film. Alla prova costumi con Marité Coutard, la costumista, è rimasta per un attimo basita. Poi, dopo ore di lavoro, ha capito cos’avevo in mente per il suo personaggio. Abbiamo parlato a lungo di Viale del tramonto, delle attrici degli anni d’oro di Hollywood e delle attrici teatrali francesi di altri tempi. Una volta compresa l’idea, l’ha accettata di buon grado e ci si è buttata a capofitto. E il suo personaggio porta una ventata di libertà in questa famiglia intricata e allo sbando.

Era la prima volta che un mio cast era composto da quasi tutti personaggi principali. Ho creato una famiglia al servizio della narrazione e ho messo insieme un gruppo di attrici dai percorsi diversi. Rappresentano uno degli obiettivi del film a cui tengo molto, ovvero impersonare i miei riferimenti nel mio mondo. È stato esaltante e affascinante lavorare con loro e si capisce che sono perfette per i loro personaggi nel film, nonostante si tratti di ruoli che si discostano completamente da tutto ciò che hanno mai fatto nelle loro carriere.

Agli occhi del pubblico, Dominique appare come una donna plateale, ma in realtà è semplicemente molto esuberante. Al lato opposto dello spettro abbiamo Laure Calamy, che interpreta eccezionalmente un personaggio cupo e squilibrato.”

Anche la villa è uno dei personaggi principali del film. Che ruolo ha avuto nella scrittura della storia?

“Durante la stesura della sceneggiatura era semplicemente “una grande residenza sul lungomare”, era ancora qualcosa di astratto. Per puro caso, tre anni prima, avevo visitato una villa molto particolare, un luogo appariscente, kitsch e decisamente unico nel suo genere sulla costa, ed era diventata un’ossessione. L’ho visitata nuovamente mentre stavo progettando il film e mi è sembrata estremamente bizzarra, mi ha spaventato.

All’improvviso ho capito come utilizzarla per il film e, infatti, non abbiamo usato set costruiti ad hoc. Mentre cercavo le location adatte, ho ripreso e fotografato ogni singolo dettaglio della villa e ho riscritto la sceneggiatura a partire da quella. Il film non potrebbe avere luogo in nessun altro posto. Chi, se non Louise, potrebbe mai avere in casa una scala in marmo rosa? E poi, con una superficie di 4.500 metri quadrati non ci sono stati problemi di spazio per le riprese.

Tuttavia, dato che Louise è un’accumulatrice, abbiamo dovuto riempire la villa di oggetti. Ed è stata una bella sfida dal punto di vista logistico e scenografico. Io avevo scritto che la villa era una specie di mausoleo e Damien Rondeau, il capo scenografo, e il suo team di quindici persone l’hanno riempita con qualcosa come 3.000 oggetti.”

Avevi delle idee precise riguardo alla scenografia? Come ti eri immaginato gli interni?

Un vizio di famiglia

“Adoro lavorare con gli scenografi, confrontarmi con loro – è uno degli aspetti del fare cinema che preferisco! Non avevo requisiti, ma nella sceneggiatura avevo specificato qualche dettaglio: il divano verde celadon, le stampe leopardate, gli animali impagliati; la casa doveva straripare di oggetti decorativi. Io e Damien abbiamo dovuto escogitare degli stratagemmi per riempire lo spazio senza sforare il budget.

Abbiamo noleggiato decorazioni firmate e mobili di design e il risultato è stato che la villa sembra un bazar di lusso. È stata una vera e propria impresa, specie perché era tutto chiuso per via del lockdown. Fortunatamente, il museo di storia naturale di Tolone ci ha prestato gratuitamente i suoi animali impagliati. Trovare 4.500 videocassette, però, non è stato altrettanto semplice. Ci è voluta una settimana perché due persone riuscissero a rietichettarle tutte per rispecchiare il disturbo compulsivo ossessivo di Louise.”

Hai sfruttato i vari livelli e piani della casa come simbolo di una gerarchia implicita e delle classi sociali.

“Tutti e tre i miei lungometraggi hanno un denominatore comune: il passaggio di una persona da una classe sociale all’altra. In Irréprochable, il personaggio di Marina Foïs cerca in tutti i modi di svoltare la sua vita a Parigi, mentre in L’ultima ora, il personaggio di Laurent Lafitte viene catapultato in un mondo a lui totalmente estraneo.

In Un vizio di famiglia racconto un momento particolare della vita di mia madre. Un giorno, quando aveva 60 anni, scoprì chi era suo padre. Era un banchiere di Poitiers che, politicamente, simpatizzava per la destra. Noi eravamo una famiglia dalle tendenze comuniste e appartenevamo alla classe medio-bassa del quartiere popolare di ‘Cité des 4000’ a La Corneuve, poco fuori Parigi. Mia madre lo adorò dal primo secondo in cui lo vide, nonostante avesse sempre impedito a me e mio fratello di fraternizzare con chi votava destra! Fu una cosa bella e tenera da vedere, ma mi scosse anche molto, perché quell’incontro incrinò molti dei principi dei miei genitori.

L’incontro tra mia madre e suo padre iniziò con una telefonata e con le stesse parole che ho riportato nel film. Il resto della storia, però, è inventato di sana pianta. Ed è anche molto più intricato della realtà!

Quando Stéphane si unisce alla sua famiglia ritrovata, mente. Non riesce ad accettare la sua posizione sociale, in quanto membro della classe medio-bassa in una casa dove la ricchezza è ostentata ovunque. È un’operaia che fa volontariato in prigione e il cui salario (minimo) corrisponde al prezzo della bottiglia di vino che suo padre stappa per festeggiare il loro incontro. Perciò il film è una specie di fiaba: ho osato con gli indicatori sociali. Nella casa, le stanze da letto sono ai piani alti, mentre nel seminterrato, la cameriera ruba oggetti e scoppiano risse. Questo è il ventre della casa, il luogo dove risiede tutto ciò che viene represso.”

Hai fatto un uso malizioso della tecnica dello split screen in Un vizio di famiglia. Come l’hai concettualizzata? Come hai scelto per quali sceneutilizzarla?

“Ho capito dove utilizzarla quando ho preparato la sceneggiatura tecnica. All’inizio erano tre scene. La quarta, che fa un parallelismo tra la vita di Stéphane e quella del personaggio interpretato da Suzanne Clément, è stata aggiunta durante il montaggio. La prima scena con lo split screen è nata per necessità: la sequenza del pranzo era molto lunga e volevo renderla più dinamica, perciò mi si è accesa la lampadina e mi è venuta l’idea di usare questa tecnica.

Abbiamo optato per un long take di Stéphane – che si trova al centro dei due schermi – e, quando i padroni di casa le danno un benvenuto freddo e la bistrattano, ho voluto rendere lo spazio claustrofobico e opprimente, farla sembrare circondata. Questa idea rispecchia parte della grammatica della pellicola. Tutte le scene con split screen sono state ostiche da mettere in piedi, ma hanno funto da collante per la squadra sul set.

Sono state entusiasmanti, ma anche snervanti da girare. Ogni mattina arrivavo sul set con i miei bozzetti e capivo che nessuno degli attori aveva idea del risultato finale. È stato complicato perché ruota tutto intorno agli sguardi, ai punti di vista e agli inganni, ma anche interessantissimo. Ho sempre amato la tecnica dello split screen, quasi quanto amo lo zoom. Fa parte del mio codice cinematografico e mi piace che il mio lavoro sia visibile e riconoscibile. In Un vizio di famiglia volevo che la direzione artistica, la scenografia e il suono ricoprissero dei ruoli importanti nella narrazione.”

Hai parlato dello zoom. Quando Louise e Stéphane arrivano alla baia attraverso il passaggio segreto, fai uno zoom in avanti su di loro. La luce è diafana e nebulosa, la fotografia è irradiata dal sole…

“È uno degli elementi che ho adorato della casa: c’era una baia con scogli finti in cemento! Io e il direttore della fotografia, Romain Carcanade, abbiamo scelto di usare un formato 2:55, ancora più grandangolare del Cinemascope. Le lenti anamorfiche che uso in tutti i miei film generano delle distorsioni, delle aberrazioni e dei riflessi stupendi, ma qui abbiamo voluto esasperare il processo. Non sempre gli spettatori se ne accorgono, ma la lente anamorfica crea istantaneamente un effetto strano, come se l’immagine fosse privata della sua realtà.

E abbiamo anche aggiunto l’effetto grana per replicare la sensazione della pellicola. Adoro la scena della baia, si ispira alla finzione hollywoodiana. Quando Louise svela il suo segreto vediamo una certa tenerezza. Si tratta di un momento melodrammatico, con lo sciabordio delle onde in sottofondo e la musica quasi melensa.

Anzi, per quanto riguarda le musiche, ho voluto che fossero divise in tre atti. Il primo atto è caratterizzato da sonorità misteriose e d’atmosfera; il secondo, quando sorgono diversi dubbi, è dominato dal sintetizzatore che ricorda i film horror che guardavo da giovane; e il terzo è un tripudio di archi. Nonostante questo sia un film di genere, è anche e soprattutto un melodramma e una tragedia.”

Indubbiamente il film parla della famiglia, ma contiene anche una forte tensione sessuale. Perché?

“Sì, è un film in cui chiunque potrebbe finire a letto con chiunque. È un tabù a livello familiare, ma il desiderio è incontrollabile, no? Mi piace dare una tensione sessuale ai miei attori e alle mie attrici perché mi piace filmare i loro corpi. Di base, i corpi umani mi affascinano molto e non c’è nulla di più intrigante dei corpi degli attori. So benissimo che questa mia ossessione deriva da una frustrazione: nel cinema francese, gli attori e le attrici vengono sempre filmati con primi piani o campi medi, dalle cosce in su, come se esistessero solo a livello cerebrale. Eppure, ciò che amo del cinema sono il suo uso del linguaggio del corpo, delle trasformazioni, dei travestimenti.

È stato interessante girare Un vizio di famiglia perché ogni attore, a un certo punto, si è ritrovato nudo e hanno tutti corpi diversi! È bellissimo! Dare un’immagine erotica di Dominique Blanc (che fa la sua prima apparizione sullo schermo in un vestito semitrasparente) e di Jacques Weber, che mi ha permesso di filmarlo nudo (cosa per cui gli sono infinitamente grato), è stato un privilegio. Ho voluto filmare anche Suzanne totalmente nuda nella scena della lotta. Era agitata e io volevo che fosse bella, atletica, in forma, scattante. Si è preparata molto con un allenatore.

Poi c’è la coppia Doria-Laure. Doria è 30 centimetri più alta di Laure. È stato molto divertente. Ho cercato questa contrapposizione già durante la stesura della sceneggiatura. Solo a livello di presenza, Doria sovrasta Laure come una mantide religiosa. E sullo schermo risulta ancora più spettacolare: è un’espressione estetica di umiliazione o di dominio. Rispecchia sia la metafora dei piani della casa sia la tensione sessuale.”