La recensione e lo speciale costumi di scena del nuovo film di Luca Guadagnino, Challengers, con protagonisti Zendaya, Mike Faist e Josh O’Connor.

Challengers recensione: il trailer ufficiale

Il regista Luca Guadagnino, conosciuto per le sue narrazioni visivamente ricche e emotivamente intense, torna con “Challengers“, immergendosi nel mondo del tennis per esplorare temi come l’amore, l’ambizione e la redenzione. Il film, che vede protagonista Zendaya nel ruolo di Tashi Duncan, una ex prodigio del tennis trasformata in allenatrice, è una storia carica di tensione emotiva e competizione.

Tashi, interpretata con una passione bruciante da Zendaya, è una figura di potere sia sul campo da gioco che nella vita privata. Sua la responsabilità di riportare al successo il marito, interpretato da Mike Faist, un talento del tennis in crisi. La trama si complica con l’entrata in scena di Patrick, ex amico del cuore e vecchia fiamma di Tashi, in un ruolo delicato affidato a Josh O’Connor. Il confronto tra i due uomini, oltre a rivelare vecchie rivalità, porta alla luce tensioni irrisolte e sentimenti inespressi.

La sceneggiatura di Justin Kuritzkes si muove abilmente tra passato e presente, costruendo una narrazione che intreccia il destino dei personaggi con la loro capacità di affrontare i propri errori e aspirazioni. Il dialogo, tagliente e incisivo, aiuta a delineare la profondità dei personaggi e la complessità delle loro relazioni.

L’aspetto visivo del film è notevolmente arricchito dalla collaborazione con il direttore della fotografia Sayombhu Mukdeeprom, che cattura sia l’eleganza cruda del tennis che la tensione emotiva dei suoi protagonisti. La regia di Guadagnino è abile nel bilanciare le sequenze di gioco con momenti più intimi, creando un ritmo che mantiene lo spettatore coinvolto.

La colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross aggiunge un ulteriore strato di intensità, sottolineando i momenti chiave con una musica che si intreccia perfettamente con la narrazione. Il risultato è un’esperienza cinematografica che è tanto una riflessione sulla natura umana quanto uno spettacolo visivo.

“Challengers” riesce a essere al contempo un dramma sportivo e un esplorazione delle dinamiche umane, con performance che catturano la complessità dei personaggi. Zendaya, in particolare, dimostra ancora una volta la sua capacità di interpretare ruoli difficili con una presenza scenica che domina lo schermo.

In definitiva, il film di Guadagnino è un viaggio emozionale che esamina il prezzo del successo e le imperfezioni delle relazioni umane, tutto sullo sfondo del mondo competitivo del tennis. Con “Challengers”, Guadagnino non solo conferma il suo talento di narratore visuale ma dimostra anche una sensibilità unica nel trattare temi di rilievo universale. Un’opera che si distingue per la sua capacità di mescolare sport, passione e dramma umano in un racconto coinvolgente e ricco di sfumature.

Challengers: lo speciale costumi di scena

Challengers recensione

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L’aspetto del film, dal design degli abiti alla scenografia, al montaggio, alle acconciature e al trucco, e tutto il resto, contribuisce a creare il mondo ricco, ponderato e dettagliato di Challengers. Per vestire i personaggi nel modo in cui Guadagnino li aveva immaginati (e come dettavano la storia e l’ambientazione del film), lo stilista internazionale Jonathan Anderson, direttore creativo di Loewe e forza trainante della sua etichetta JW Anderson, ha dato ai costumi la sensazione di corpi in movimento, connettendoli ai loro desideri primari e di carriera, e una comprensione generale di ciò che rende essenziale la moderna cultura del marchio.

“L’abbigliamento è una cosa fantastica, e ciò che Luca capisce – ed è così bravo a farlo, come artista – è il modo in cui esso dà davvero una visione di chi siamo”, racconta Jonathan Anderson. “A guardare un film di Luca Guadagnino, ti viene da mettere in discussione alcune cose della tua vita. E i suoi film ti fanno pensare a qualcosa di nuovo, ti fanno fare un esame introspettivo: cosa abbiamo dentro o come ci vediamo. Per quanto riguarda il design, ho pensato: come si fa ad esaltare qualcosa in un film attraverso l’idea di un abbigliamento che ti faccia immedesimare nel personaggio? Luca è bravissimo a far sentire il pubblico in costante contatto visivo con i suoi personaggi. Durante la visione del film, penso che il pubblico si senta come una pallina da tennis che va da una parte all’altra, lanciata in questa dinamica affascinante ed emozionante”.

“Sono sempre stato un grande ammiratore di Jonathan: è una delle persone che più mi ispirano ed è anche un caro amico”, ha commentato Luca Guadagnino. “Quindi, quando si è presentata questa opportunità, ho avuto l’istinto di chiamarlo e chiedergli se lo avrebbe fatto, e lui ha accettato. E’ stato un momento così bello, fuori dagli schemi, perché la saggezza che ha portato al processo è stata opportuna e profonda. Non ha mai provato a realizzare un “film dal look firmato”, ma ha cercato di analizzare con attenzione e profondità questi personaggi particolari, e il modo in cui dovevano comportarsi in termini di aspetto, per farceli capire meglio”.

Le linee temporali che si susseguono in Challengers hanno fornito un filo conduttore per i progetti di Anderson.

“Una cosa che volevamo dalle sezioni del film in cui sono più giovani è che, in quel periodo precedente, ci fosse un elemento di ‘ovvietà’: le camicie Oxford e le tendenze che i ragazzi indossavano alla fine degli anni ’80 in America, in stile ‘preppy’ “, aggiunge Anderson. “Poi, man mano che la storia va avanti, si ha una prospettiva molto diversa: Patrick è un uomo sicuro di sé e arrogante, anche nella sua posizione indebolita nel mondo del tennis, quindi il suo abbigliamento assume una transizione più morbida, mentre Tashi diventa più ambiziosa, e il suo look lo rispecchia. L’abbigliamento di Art invece punta ad uno stile più comodo che rappresenta questo genere di ragazzo”.

La progettazione dei costumi per ciascun personaggio ha comportato uno scambio di idee e input.

“Zendaya è una collaboratrice eccezionale: è molto attenta alla moda e ai marchi e vuole che i costumi dettino davvero qualcosa”, afferma Anderson. “Per Tashi, volevamo qualcosa che desse un’idea di “presentazione” e di vittoria di quel periodo. È stato affascinante lavorare con Zendaya, che si è mostrata totalmente coinvolta in ciò che ritiene sia necessario per articolare completamente queste idee. Tashi nel film diventa un’incredibile seduttrice, ma è subdola, e lo è anche nel suo abbigliamento. Attraverso lei, si ha un’idea di ciò che stava accadendo nella cultura generale degli anni in cui è ambientato il film”.

“Per il personaggio di Patrick ho utilizzato JFK Jr. come punto di riferimento”, afferma Anderson. “La mia idea su di lui era che fosse un personaggio nato in una famiglia molto ricca, quindi apparentemente traspare un’incredibile nonchalance. Quando JFK Jr. era più giovane, negli anni ’80 e ’90, il suo guardaroba era piuttosto disinvolto, come se potesse indossare qualsiasi cosa ed avere sempre il suo sex appeal”. “Patrick sembra abbia una certa formalità nella sua non formalità”, continua Anderson. “Ho considerato il fatto che non dovesse preoccuparsi del suo aspetto perché, in fin dei conti, non ha un seguito, non è la più grande star del tennis, quindi il suo look è diventato un po’ ad hoc senza essere il testimonial di un marchio. Malgrado ciò, se si osserva attentamente il suo look, presenta degli accessori invecchiati e costosi, come ad esempio un vecchio portafoglio che è ancora di grande valore malgrado stia cadendo a pezzi”.

Il design dei costumi di Art Donaldson invece partivano da un altro concetto.

“Per il personaggio di Art, il design ruotava attorno all’idea che quando hai successo, devi indossarlo, devi dimostrare di avere il controllo grazie al potere del marchio che scegli”, afferma Anderson. “Sottolinea l’approvazione del marchio nello sport e il modo in cui si riflette su Tashi e Art: in sostanza, chi ottiene l’accordo più grande? Quindi Art, attraverso il controllo di Tashi, sta capendo come sono diventati una coppia potente”. “C’era qualcosa in Art che mi dava la sensazione di essere in trappola, tanto che i suoi vestiti diventavano una sorta di barriera alla vita”, aggiunge lo stilista. “C’è qualcosa di incredibilmente asettico in Art, nella sua personalità e quindi anche nei suoi vestiti: sia nel suo abbigliamento da casa che in campo, è incredibilmente preciso. Ha una sorta di corazza che lascia pensare che indossi semplicemente ciò che gli abbiano dato, come se fosse programmato per fare la cosa giusta. E quando Art diventa più grande e raggiunge i trent’anni, sembra di non avere il coraggio di vestirsi, a meno che non sia consigliato da qualcun altro”. “E’ Tashi a prendere le decisioni, e vive Art come una sorta di fantasia tennistica”, afferma Anderson. “Quindi la mia idea era che, piuttosto che sminuire il marchio, sarebbe stato interessante valorizzarlo – ma non nel senso di product placement. Parliamo di questo strano tipo di psicologia in cui viviamo, che ci fa dimenticare che tutto ciò che ci circonda porta una firma. Solo quando te ne rendi conto capisci quanto sia radicato questo concetto”.

Il rapporto tra sport e marchio si è riversato nell’aspetto dei personaggi e Anderson ha realizzato un arazzo di costumi e motivazioni, fondendo macro-simbolismo e micro-significato.

“Sono diventato ossessionato dall’idea delle dinamiche sportive in campo e fuori dal campo, da come è cambiato il rapporto tra la cultura giovanile, l’abbigliamento e lo sport”, spiega Anderson. “I marchi sono diventati un fenomeno che è costantemente intorno a noi. In definitiva, lo stile di Challengers in termini di costumi rispecchia la vita e il modo in cui siamo circondati e bombardati dai brand”. “Penso che oggi, quando si guarda allo sport, si parla del logo, del ‘sogno americano’ di un marchio”, continua lo stilista. “Credo che una ragione per cui Luca è fuori dal comune, è la sua capacità di cogliere le sottigliezze di ciò che ci circonda, e a cui siamo diventati immuni, per poi esaminarle. Capisce il mondo americano, e in America i marchi fanno davvero parte dello sfondo”.

Il look per le acconciature e il trucco del film è naturale e memorabile quanto le immagini vibranti. Kellie Robinson, responsabile del trucco di Zendaya per Challengers, aveva il compito di trasformare l’attrice con il trucco segnando il passaggio da adolescente a donna sulla trentina, e mostrare come Tashi acquisisce il proprio potere nella sua relazione con Patrick e Art – e in un nuovo aspetto della sua carriera a cui deve adeguarsi.

“Abbiamo pensato: ‘Come possiamo farli invecchiare senza effetti digitali?’ ” ha raccontato Kellie Robinson. “Ne abbiamo discusso e abbiamo creato man mano il trucco del personaggio in base alle circostanze, come ad esempio quando nella storia Tashi rimane sveglia a piangere tutta la notte, oppure quando è angosciata. Inoltre, da adolescente e fuoriclasse del tennis, ho pensato che avrebbe trascorso molto tempo al sole, quindi abbiamo aggiunto delle lentiggini solari e, man mano che matura e diventa una donna elegante, il suo viso è chiaro e luminoso, poiché diventa più attenta ai raggi solari. E quando pian piano entrano in gioco l’angoscia del suo matrimonio, la preoccupazione e il potere, abbiamo dovuto adattare la bellezza naturale di Zendaya”.

“La magia risiede nei piccoli dettagli”, aggiunge la Robinson. “A 18 anni, Tashi ha un lucidalabbra con dei brillantini, che oggi non è di moda, ma era molto in voga nel periodo in cui si svolge la storia di Challengers, intorno al 2007. Zendaya ha la fortuna di avere una bella struttura del viso, ma abbiamo aggiunto dei contorni per far sembrare il personaggio più forte, come richiesto dalla storia. L’attrice sembra più forte nel ruolo solo con un trucco minimo. Ed è stata sicuramente una collaborazione incredibile con Zendaya: conosce il suo viso, sa che certi colori potrebbero cambiare le cose in un certo modo e si è impegnata tantissimo per il personaggio. Conosce le sottigliezze, gli angoli e le ombreggiature, ma si è anche fidata di me per fare ciò di cui avevo bisogno”.

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