Pronti per un po’ di sano terrore? Torna al cinema il thriller horror “The Nun 2“, il secondo capitolo della saga di “The Nun”, l’opera di maggior successo dell’universo “The Conjuring”. Siamo nel 1956 in Francia. Un prete viene assassinato. Il male si sta diffondendo. Il sequel del film campione d’incassi segue le vicende di Suor Irene, quando viene a trovarsi nuovamente faccia a faccia con Valak, la suora demoniaca.

Taissa Farmiga torna nel ruolo di Suor Irene, affiancata da Jonas Bloquet, Storm Reid, Anna Popplewell, Bonnie Aarons e da un cast di star internazionali. Michael Chaves dirige da una sceneggiatura di Ian Goldberg & Richard Naing e Akela Cooper. Da una storia di Akela Cooper, basata sui personaggi creati da James Wan & Gary Dauberman.

The Nun 2: il trailer ufficiale

Il film è prodotto dalla Safran Company di Peter Safran e dalla Atomic Monster di James Wan che danno seguito alle passate collaborazioni nei precedenti film della saga “Conjuring”. Produttori esecutivi di “The Nun II” sono, Richard Brener, Dave Neustadter, Victoria Palmeri, Gary Dauberman, Michael Clear, Judson Scott e Michael Polaire.

Nel team creativo che ha affiancato il regista Michael Chaves troviamo il direttore della fotografia Tristan Nyby, lo scenografo Stéphane Cressend, il montatore Gregory Plotkin, la produttrice degli effetti visivi Sophie A. Leclerc, la costumista Agnès Béziers e il compositore Marco Beltrami, autore della colonna sonora.

L’intervista al regista Michael Chaves

Com’è avvenuto il tuo coinvolgimento in The Nun 2?

“Quando Corin Hardy stava girando “The Nun – La vocazione del male”, io ero impegnato nelle riprese di “La Llorona – Le lacrime del male”, e ho fatto amicizia con lui e con Jonas Bloquet e Taissa Farmiga. Mi sono tanto piaciuti quei due, li ho trovati degli attori meravigliosi e di grande talento, e ho davvero amato la versione di Corin del film. Così, dopo un paio d’anni, quando la New Line mi ha sottoposto la sceneggiatura di “The Nun II”, onestamente ho pensato immediatamente a Taissa e Jonas. Ho adorato la loro interpretazione dei personaggi e la storia che hanno iniziato. Erano già presenti nella sceneggiatura, ma sentivo che c’era qualcosa di più. Sapevo che avremmo potuto portare questi personaggi oltre, e che avrebbero potuto fare qualcosa di veramente speciale; ed è proprio questo che più mi ha entusiasmato”.

Ci parli delle eroine del film e del loro incontro?

“Mi piacciono le storie di donne forti. Mia madre è stata una mamma single. Adoro le storie di mamme orso forti, e ne “La Llorona – Le lacrime del male” era decisamente presente questo tema. E poi la storia di Suor Irene, l’idea di queste due suore incaricate di una missione, che attraversano l’Europa per cercare di dare la caccia a questo demone, l’ho trovata una storia emozionante e forte fin dall’inizio.

Ho visto un fantastico documentario della BBC degli anni ’50 su un gruppo di suore che costruivano case, lavorando sodo, facendo letteralmente lavori di costruzione e versando cemento. E tornando all’idea di personaggi femminili forti, sono là fuori nel mondo, e cercano di fare la differenza. Abbiamo esplorato diversi modi per presentare Irene, ma comunque volevo che facesse un lavoro qualsiasi. La prima immagine la ritrae nel suo convento in Italia, mentre spinge un camion bloccato nel fango, e mi piace vederla impegnata in un lavoro duro, sporcandosi, ma anche molto felice e contenta di farlo.

E’ questa la cosa che mi ha colpito di quelle suore, che fossero molto orgogliose di essere umili, di fare un lavoro duro e di servire le persone. Anche se Irene ha vissuto questa grande avventura nel primo film, è molto contenta di tornare ad uno stile di vita umile e anonimo. Non sta inseguendo il futuro demone. Non vuole essere famosa. Non vuole lavorare per il Papa. Vuole solo fare del bene nel mondo. Sembrava giusto per Irene. E quando ne ho parlato con Taissa, lei ha risposto positivamente… Mi è sembrato davvero adatto al personaggio e un ottimo punto di partenza”.

E poi c’è l’incontro con Suor Debra…

“Suor Debra, interpretata da Storm Reid, è una concittadina americana di Irene, e anche lei in Europa. Come Irene nel primo film, è una novizia, ma si ritrova a mettere in discussione la sua fede. I noviziati sono impegnati con Dio e fondamentalmente percorrono le tappe per affidare la loro vita al Signore. Ma ha dei dubbi: per Debra sono reali e radicati nella sua storia, nel suo passato di ingiustizia razziale.

Guardando la sua vita, è facile per lei dire: ‘Come potrebbe un Dio giusto permettere che queste cose accadano?’. Inoltre, la perdita di sua madre è un elemento potente nella sua storia. Dice: ‘Mia madre era la mia chiesa’. Mi piace questa frase, perché da piccola mio padre mi portava in chiesa: alla prima Messa, alle prime luci dell’alba. Per molti di noi da bambini, se si è cresciuti seguendo una religione, a volte c’è un genitore che diventa il proprio centro spirituale. Per Debra, era sua madre.

La perdita della mamma le ha fatto mettere in discussione la sua fede. Anche se è una novizia e sta per prendere i voti, non ne è più sicura. Le classiche domande sulla fede: è pronta a dedicare la sua vita a Dio? E’ davvero credente? Sono una delle prime cose che iniziamo ad esplorare quando incontriamo il suo personaggio, e diventa una linea guida che ci accompagna fino alla fine.

Irene ricorda il fatto che Valak aveva precedentemente distrutto un convento pieno di suore innocenti, che avevano una fede solida ed indiscussa. Irene è preoccupata di entrare in conflitto con una suora che sta mettendo in discussione la sua fede, perché in storie come queste la fede è una corazza, un’ arma. Bisogna assicurarsi che l’armatura sia resistente e che l’arma sia affilata. Penso che questo sia uno degli elementi più emozionanti della storia”.

Il tempo e il luogo di The Nun 2?

“Adoro l’idea dell’ambientazione dell’universo di ‘The Conjuring’ in Europa. Onestamente la prima cosa che ho fatto è stata guardare un mucchio di foto sia della Francia che della Spagna degli anni ’50: il primo passo della ricerca è stato proprio scavare in queste foto. E da lì è venuto fuori un sacco di materiale fantastico. Ho notato molti scatti di vecchie edicole vintage, e la cosa mi ha attratto, facendole diventare dei motivi di spavento.

Nel nostro mondo moderno, niente è più simile a una reliquia del passato di un’edicola. Adoro le riviste e i giornali d’epoca, e anche il design grafico antico. Il materiale era visivamente emozionante, ed ero certo che ci sarebbe tornato molto utile. Con queste foto viaggi nel tempo, e penso ti ancorino alla realtà. Il mio intento nella realizzazione del film era decisamente quello di renderlo il più autentico possibile, cosa che senza dubbio rende un horror migliore.

Si vive un’esperienza più spaventosa se si crede davvero a ciò che si vede, pensando che potrebbe realmente accadere un dato evento. Per me era importante rimanere fedeli al paese, al periodo storico e a tutti i piccoli dettagli connessi. Voglio che chiunque abbia vissuto quel tempo e che abbia conosciuto quei luoghi, li riconosca nella pellicola”.

Valak è un’icona dell’orrore?

“Penso che la Monaca Demone sia uno dei mostri iconici del cinema. Voglio dire, osservandola su un poster sembra un po’ un ritorno al passato, a Dracula.. c’è un po’ di Pennywise… c’è un po’ di Nosferatu. È un’immagine intramontabile, dall’aspetto unico. Anzi, è una delle icone del cinema horror, e uno dei cattivi cinematografici per eccellenza. Con questo film volevo semplicemente spingermi oltre. Volevo esplorare le manifestazioni, e scavare di più nella storia, o almeno nel mito o nelle teorie, su quali potrebbero essere le sue origini. Penso che sia davvero importante farlo, senza mai essere troppo specifici, per lasciare spazio alla potenza del mistero, del non conosciuto. Dopotutto è questo ciò che spaventa maggiormente”.

Come nasce il legame di Santa Lucia con la storia?

“Santa Lucia mi ha sempre spaventato e incuriosito. Sono cresciuto seguendo il cattolicesimo, e sono sempre rimasto colpito dall’immaginario che circondava questa martire a cui sono stati cavati gli occhi. Spesso appaiono i suoi occhi sui palmi delle mani. Ho pensato che ci fosse qualcosa di veramente spaventoso e potente in questo. L’idea della vista e del vedere come potere da attaccare e desiderare, mi è sembrata un’idea davvero interessante. E soprattutto come si collega a Suor Irene, che ha sempre avuto delle visioni. È sempre stata connessa a qualcosa che va al disopra di lei. C’è l’idea che mentre Irene è in missione, fa anche un viaggio personale… Un viaggio più piccolo e intimo dentro di sé per capire chi è: ritrovare la propria vista e la propria capacità di vedere il mondo che la circonda”.

E la creazione di Cedric…?

“Il personaggio di Cedric, il figlio di Madame Laurent morto durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, è nato da una fotografia degli anni ’30 che ho trovato, di questo chierichetto ad un corteo funebre. Era sulla strada e aveva il turibolo, l’oggetto che contiene l’incenso. E lui se ne stava lì in piedi: la strada era piena di fumo; il turibolo fumava: era così bello e inquietante allo stesso tempo.

Era un’immagine davvero magica e destabilizzante, che ho pensato: “Dobbiamo inserire un chierichetto nel film”. Immagino che James Wan si sia davvero ispirato a qualcosa di incredibilmente potente quando ha creato la Monaca, ovvero, come si può fare qualcosa di così blasfemo? Come si può inventare un personaggio che è, nella sua stessa creazione, un atto blasfemo? Quindi ho pensato: ‘Cos’altro possiamo fare?’ Ho semplicemente reputato che un chierichetto sarebbe stato un personaggio davvero interessante, ed avrebbe creato un momento iconico”.

Speciale costumi di scena: la costumista Agnès Béziers

Come hai effettuato le tue ricerche e da che elementi hai tratto l’ispirazione?

“Ho il privilegio di avere accesso agli archivi del Musée des Arts Décoratifs e del Palais Galliera, dato che la ricerca è parte integrante del mio lavoro. Successivamente, mi sono incontrata con l’illustratore Laurent Kim per discutere e arricchire ciascuno dei personaggi principali: le loro personalità, atteggiamenti e posture. Poi, disegnavo direttamente sulle illustrazioni dei personaggi con il loro primo aspetto. All’inizio, una delle mie ispirazioni è stata catturare lo spirito della fotografia di Willy Ronis. Le sue immagini della società francese dell’epoca (“persone comuni con vite comuni”) servivano come base per trasportare il pubblico nella vita quotidiana degli anni ’50”.

Una delle scoperte della mia ricerca sono stati i dettami del Vaticano riguardo alla lunghezza degli abiti delle suore nel 1952. Il Papa autorizzò che la lunghezza dei loro orli potesse essere di 17 cm da terra. Questo era perfetto per “The Nun II”, perché mi ha permesso di modernizzare gli abiti delle suore, consentendo una certa libertà di movimento a Irene e Debra, e offrendo allo stesso tempo un aspetto più elegante agli abiti”.

Ci parli dei costumi di Irene e Debra?

“Per Irene e Debra, ho sempre immaginato i loro abiti insieme, perché provengono dallo stesso convento, ma hanno uno status diverso. È stato fatto molto lavoro sulle pieghe, e le linee sono molto sottili. Abbiamo lavorato e rielaborato la silhouette e il tessuto proprio come fa un couturier quando crea una collezione. Quando le due suore intraprendono il loro viaggio, indossano dei cappotti. Quello di Irene è più alla Sherlock Holmes, mentre quello di Debra ha uno stile occidentale: è più selvaggio e più vivo. Queste caratteristiche aggiungono un senso di urgenza alla loro missione”.

La personalizzazione di Valak…

“Per la Monaca Demone, il velo era fondamentale sia per Michael Chaves che per me. Cercava qualcosa di scolpito, e abbiamo lavorato a stretto contatto con la modista Laurence Binet per ottenere un velo il più fedele possibile a quello che aveva in mente. È stato davvero impegnativo, quindi ci siamo necessariamente dovuti avvalere dell’esperienza di Laurence. Per me era anche importante conferire alle suore i propri Certificati di Nobiltà attraverso la scelta dei tessuti, perché quando una suora sale di anzianità all’interno di un convento, ha accesso a tessuti di qualità superiore, considerati più “nobili”.

E le uniformi del St. Mary?

“Michael e io abbiamo parlato dell’utilizzo o meno di uniformi per le studentesse del St. Mary. All’epoca in Francia erano obbligatorie le divise nelle scuole private, mentre gli studenti di un istituto pubblico potevano indossare i propri vestiti con sopra un camice o un grembiule. Io partivo dalla convinzione che tutte dovessero indossare un’uniforme, in modo che il vestito-grembiule di Sophie si differenziasse dalle uniformi delle altre ragazze. A quel tempo, la gente si cuciva i propri abiti e riutilizzava i tessuti. Ecco perché l’uniforme di Sophie è diversa. Kate probabilmente aveva riutilizzato una vecchia uniforme per confezionare lei stessa quella di sua figlia.

Per quanto riguarda le uniformi, ho una collezione di campioni di stoffa degli anni passati, e ho pensato che un tessuto di lino marrone a quadri sarebbe stato perfetto per le divise delle ragazze. Tuttavia, non era più disponibile presso l’azienda tessile originaria di produzione in Irlanda, la Emblem Weavers; ma fortunatamente per noi, alla Emblem sono grandi appassionati di cinema, e sono riusciti a tessere 350 metri di quella stoffa per ‘The Nun II’. In effetti, il rilancio di questa produzione in tessuto è stato il primissimo ordine che abbiamo effettuato. Sapevo fin dall’inizio di aver individuato il tessuto giusto. Alla fine, non abbiamo utilizzato tessuti sintetici nel guardaroba di questo film”.

“The Nun II” esce oggi nelle sale italiane distribuito da Warner Bros. Pictures.

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