Tron: Ares, luci, nostalgia e intelligenze artificiali nel nuovo capitolo Disney, la recensione
Tron: Ares riaccende la griglia dopo oltre dieci anni di silenzio. Diretto da Joachim Rønning, il film porta Jared Leto nel ruolo di un’intelligenza artificiale catapultata nel mondo reale, accanto a Greta Lee, Evan Peters e Jeff Bridges. Disney punta tutto su un’estetica mozzafiato fatta di luci al neon, inseguimenti e musica elettronica firmata dai Nine Inch Nails. Pur senza introdurre idee nuove, il film gioca abilmente con la nostalgia e offre un grande spettacolo visivo. Tron: Ares non cambia le regole del gioco, ma le illumina ancora una volta con stile e cuore.
TRON: Ares, da oggi al cinema, riaccende la griglia dopo più di un decennio di silenzio. E lo fa con un’energia visiva che conferma quanto Disney sappia ancora stupire quando decide di giocare con la nostalgia, anche se le idee davvero nuove scarseggiano.
Un salto nel passato (e nel futuro)
Difficile non pensare al 1982, quando il primo Tron portò per la prima volta al cinema una grafica computerizzata mai vista prima, cambiando per sempre la fantascienza. Nel 2010 Tron: Legacy rilanciò il franchise con luci al neon, Daft Punk e un Jeff Bridges digitale. Ora Tron: Ares prova a fare un ulteriore passo avanti, puntando su Jared Leto nei panni di un programma di intelligenza artificiale che finisce nel mondo reale.
Accanto a lui Greta Lee, Evan Peters, Jodie Turner-Smith, Hasan Minhaj, Gillian Anderson e — per la gioia dei fan storici — Jeff Bridges di nuovo nei panni di Kevin Flynn. Dirige Joachim Rønning, già dietro a Pirati dei Caraibi – La Vendetta di Salazar e Maleficent: Signora del Male.
Il ritorno della luce
La trama non inventa nulla di rivoluzionario: Ares viene inviato nel mondo reale per una missione che metterà alla prova la convivenza tra umani e intelligenze artificiali. Ma se la storia gioca su binari prevedibili, il fascino del film sta tutto nella sua estetica: linee di luce, tute luminescenti, veicoli che sfrecciano a velocità vertiginosa. Il tutto amplificato da un uso spettacolare dell’IMAX e da una colonna sonora firmata dai Nine Inch Nails, che sostituiscono i Daft Punk senza far rimpiangere troppo il duo francese, o forse no…perché l’effetto nostalgia fa davvero la sua parte, soprattutto se si parla di Daft Punk!
Tra nostalgia e reboot-mania
Tron: Ares arriva in un momento in cui Hollywood sembra incapace di staccarsi dal passato: tra remake live-action dei classici Disney, sequel di saghe anni ’90 e reboot infiniti, la sensazione è quella di un’industria più interessata a rivendere memorie che a rischiare davvero. Eppure, in mezzo a questa tendenza, Ares riesce a ritagliarsi uno spazio tutto suo.
La regia di Rønning è pulita e spettacolare, ma Jared Leto non brilla particolarmente: il suo Ares è affascinante in teoria, ma resta piuttosto piatto, più figura simbolica che vero protagonista. Fortunatamente, a dargli spessore ci pensa Greta Lee, che con equilibrio e ironia porta un po’ di umanità in un mondo di pixel.
Luci, circuiti e un po’ di cuore
Certo, la sceneggiatura resta semplice e le riflessioni filosofiche sull’IA non vanno troppo a fondo. Ma Tron: Ares funziona come grande spettacolo visivo, pieno di ironia, ritmo e una dose calibrata di emozione. È il tipo di film che ti fa dire: “Ok, forse non serviva davvero, ma sono felice che esista.”
In sintesi: Tron: Ares non rivoluziona il cinema come fece l’originale, ma accende la nostalgia con stile e potenza. Per chi ama i neon, la musica elettronica e le corse sui light cycle, è un ritorno nel grid che vale la pena vivere sul grande schermo.
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