La legge di Lidia Poët Netflix: un vero e proprio inno alla libertà, la nuova serie
La legge di Lidia Poët Netflix – La serie in 6 episodi, prodotta da Matteo Rovere, una produzione Groenlandia, e creata da Guido Iuculano e Davide Orsini, debutterà il 15 febbraio 2023 su Netflix. Matilda De Angelis è Lidia Poët, la prima donna in Italia ad entrare nell’Ordine degli Avvocati.
E’ il racconto di una donna anticonvenzionale che, nata nel tardo Ottocento, già brilla per talento, spirito libero e personalità. Il suo credo è essere anticonformista, non adeguarsi alle opinioni comuni, aggirare la norma, pensare fuori dagli schemi, ribellarsi al pensiero dominante e al sistema preesistente. Un vero e proprio inno alla libertà.
La legge di Lidia Poët Netflix: il trailer ufficiale
Nel cast, Matilda De Angelis nel ruolo della protagonista, ed Eduardo Scarpetta in quello del giornalista Jacopo Barberis. Pier Luigi Pasino è Enrico Poët, fratello di Lidia, mentre Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill sono rispettivamente Teresa Barberis, moglie di Enrico, e Marianna Poët, la loro figlia. Dario Aita è Andrea Caracciolo.
La serie è diretta da Matteo Rovere e Letizia Lamartire e scritta da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo.
La trama
Torino, fine 1800. Una sentenza della Corte d’Appello di Torino dichiara illegittima l’iscrizione di Lidia Poët all’albo degli avvocati, impedendole così di esercitare la professione solo perché donna. Senza un quattrino ma piena di orgoglio, Lidia trova un lavoro presso lo studio legale del fratello Enrico, mentre prepara il ricorso per ribaltare le conclusioni della Corte.
Attraverso uno sguardo che va oltre il suo tempo, Lidia assiste gli indagati ricercando la verità dietro le apparenze e i pregiudizi. Jacopo, un misterioso giornalista e cognato di Lidia, le passa informazioni e la guida nei mondi nascosti di una Torino magniloquente. La serie rilegge in chiave light procedural la storia vera di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia.
Torino alla fine dell’Ottocento conta duecentomila abitanti, e tra questi c’è un imprenditore che sta per fondare la Fiat, la più importante azienda automobilistica del Paese, nonché il più grande gruppo finanziario e industriale privato italiano del XX secolo. A Torino c’è la più libera comunità ebraica d’Italia, ci sono i circoli anarchici, c’è la camorra napoletana, ci sono i socialisti e c’è Anna Kuliscioff.
Poi ci sono i primi ospedali psichiatrici, i fanatici dello spiritismo, Cesare Lombroso con i suoi allievi, buona parte della famiglia reale, le prime tangenti, le prostitute più raffinate d’Italia, i teatri aperti a ogni ora, i concorsi di bellezza e i funerali dei nobili. Insomma, Torino alla fine dell’Ottocento è un posto strano dove abitano persone strane. Un teatro del mondo, sintesi dei tempi che stanno per venire. Una città pirotecnica, eccessiva, contraddittoria, magniloquente, autodistruttiva. Come c’è da aspettarsi, è anche una città dove si uccide e si finisce in prigione. Una città dove gli avvocati fanno affari d’oro.
Le note di regia: Matteo Rovere
“Per realizzare La Legge di Lidia Poët sono partito dalla pagina scritta cercando di concentrarmi a livello registro sui personaggi ma anche su un’estetica viva, ricca, con una stratificazione complessa e una cura dei dettagli che raccontasse la vita di quel periodo storico in maniera precisa, ma anche con la libertà che permetta alle spettatrici e agli spettatori di vedere qualcosa di più profondo, che va oltre il primo livello, la prima immagine percepita.
Il racconto di una donna che impiega trentasette anni di battaglie per ottenere quello che è giusto ha dell’incredibile e ha ovviamente un forte portato epico. Per riportare sullo schermo questo carattere abbastanza unico, ho adottato ottiche larghe e ho lavorato con la camera bassa per enfatizzare il rapporto tra il suo volto e il suo tempo. Con shot ampi si ottiene un racconto molto cinematografico, ma che al tempo stesso ci permette di vedere la nostra protagonista in relazione al contesto nel quale vive. Lidia è un personaggio rivoluzionario, ma allo stesso tempo è stata espressione di quegli anni, e registicamente ho provato a far sentire questa sensazione.
Avvicinare emotivamente questi personaggi così forti e caratterizzati sia tra di loro, sia con chi guarda, è stato un altro obiettivo che ho cercato di percorrere anche attraverso movimenti diversi, legati all’emotività della specifica sequenza. Camera a mano, steady a volte molto complessa o integrata con i dolly, technocrane che potessero entrare letteralmente nelle scene non solo action dando ritmo, senza però perdere mai il cuore e il fuoco sui nostri protagonisti.
Fondamentale il lavoro fatto sul casting insieme a Sara Casani – attori e attrici scelti nel tentativo di avvicinare il racconto, le pagine della sceneggiatura, a una verità, a un realismo, a una verosimiglianza che secondo me erano determinanti in termini emotivi e di grammatica visiva.
Il nostro racconto è quello di un passato che parla profondamente anche del contemporaneo e in questo senso ho lavorato con l’utilizzo di cromatismi che fossero affascinanti ma che vedessero sempre al centro una naturalità degli incarnati. Esseri umani veri che si muovono in contesti esteticamente molto curati e pieni di dettagli, per far fare a chi ci guarda un viaggio vero in quel periodo storico.
Un grande contributo lo hanno dato sia la scenografia che l’arredo, i costumi, il trucco, i capelli e le parrucche, che dovevano restituire verità ma anche creare qualcosa di riconoscibile, un’ambientazione fine secolo, diurna e notturna, vicina ai grandi salotti della nobiltà ma anche segreta, legata inoltre alla stratificazione sociale tipica dei gialli, per fare in modo che in questi sei episodi la nostra protagonista vivesse avventure che erano e che sono indagini, ma anche che possano risuonare tematicamente su di lei, sul suo carattere, che viene esso stesso “indagato”, scandagliato, sia dalla scrittura che dalla regia, per restituire a chi guarda un personaggio complesso, empatico, non superficiale, che lavori e giochi anche su fragilità e debolezze.
Il gruppo di lavoro ha fatto tantissimo, a partire dalla co-regista Letizia Lamartire, i direttori della fotografia, gli scenografi, il suono, la post. Tutto finalizzato a costruire un registro fortemente riconoscibile, un immaginario realistico ma insieme lontano, avventuroso, dove speriamo possiate felicemente perdervi.”
I costumi di scena: Stefano Ciammitti, Costume Designer
L’ispirazione principale per la costruzione dell’armadio di Lidia Pöet sono stati soprattutto i tessuti dalla storica Tessitura Luigi Bevilacqua a Venezia, un posto ricco di fascino dove ancora i velluti vengono tessuti a mano con dei telai del XVIII secolo.
“L’amore per i dettagli filologici mi è stato insegnato dal mio maestro Piero Tosi, l’audacia nell’uso del colore e delle fantasie barocche sono invece ispirate alla scuola inglese contemporanea. Anche i gioielli sono stati disegnati per Lidia nel gusto orientale per gli insetti e della tassidermia” ha raccontato Stefano Ciammitti.
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