Pavarotti Ron Howard film – Il pluripremiato team di film-maker che ha realizzato The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years passa ad occuparsi di un altro fenomeno musicale con Pavarotti, un racconto approfondito che non tralascia nulla della vita, della carriera e del lascito ininterrotto di questa icona musicale.

Soprannominato “il tenore del popolo”, Pavarotti rappresentava una rara combinazione di personalità, genio e celebrità e utilizzava le sue doti prodigiose per diffondere l’opera come spettacolo capace di essere apprezzato da tutti gli amanti della musica. 

Grazie alla forza del suo talento, Pavarotti ha dominato i più importanti palchi del mondo, conquistando il cuore del pubblico. Questo spaccato di vita di un uomo eccezionale e di un gigante della musica, diretto da Ron Howard, contiene rare interviste a familiari e colleghi, materiale video inedito e un avanzatissimo audio Dolby Atmos.

Con la regia di Ron Howard, il film è prodotto da Nigel Sinclair, Brian Grazer, Ron Howard, Michael Rosenberg e Jeanne Elfant Festa. Il montaggio è di Paul Crowder A.C.E. La sceneggiatura è di Mark Monroe. I produttori esecutivi sono David Blackman, Dickon Stainer, Guy East, Nicholas Ferrall, Paul Crowder e Mark Monroe. Il co-produttore esecutivo è Cassidy Hartmann. Il produttore di supervisione è Mark McCune. Missaggio del suono ri-registrato a cura di Chris Jenkins e Sal Ojeda.

“Alcuni sanno cantare l’opera. Luciano Pavarotti era un’opera” – Bono

Aveva una delle voci più spettacolari e uno dei cuori più espressivi della storia umana ma, nel documentario di Ron Howard, lo straordinario Luciano Pavarotti viene mostrato come mai prima d’ora: in un primo piano di incantevole intimità, scavando in profondità, al di là della gloria della sua musica e della forza del suo carisma, per metterne in luce le battaglie nella vita privata, il suo senso dell’umorismo e le sue speranze.

Rimandando ai temi universali che hanno mantenuto viva l’opera per tutto il XXI secolo – amore, passione, gioia, famiglia, perdita, rischio, bellezza – il film tesse il racconto di un uomo che scopre, si confronta e finisce per imparare a domare l’enormità monumentale delle proprie doti.

La voce dalle tonalità preziose di Pavarotti parla da sé. Ma qui Howard si ripropone di rivelare l’uomo, imbattendosi incessantemente in un affascinante essere umano fatto di contrasti — che combina una leggerezza infantile a un’anima profonda, una forte lealtà nei confronti dell’educazione contadina e quell’enigmatico non so che grazie a cui solo alcuni raggiungono i confini di quanto umanamente possibile.

Pavarotti è il terzo di una serie di documentari che Howard ha diretto, esplorando grandi stelle della musica — sulla scia del pluripremiato The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years e Made In America, che ha percorso, unico nel suo genere, il backstage del festival musicale di Jay-Z.

Racconta Ron Howard: “Inizialmente ero completamente assorbito dalla portata del suo viaggio, questa carriera straordinaria, sempre ai massimi livelli, il successo su tutti fronti. Ma osservando la sua vita più da vicino, ho visto anche che ha dovuto sostenere l’impatto causato dai tanti rischi artistici presi. Non mi aspettavo quel risvolto drammatico, che me l’ha fatto sentire estremamente umano”.

Mentre si destreggiava tra materiale video raro, gli spettacoli più prestigiosi, le interviste di archivio e decine di nuove interviste, Howard ha individuato una tensione nell’uomo-Pavarotti. Da un lato c’era questo personaggio spontaneo e spensierato che apprezzava il bello della vita con vivace umiltà. Dall’altro, però, c’era un uomo che lottava contro le complessità causate dalla sua enorme notorietà, da aspettative alle stelle e relazioni turbolente – il tutto accentuato dal suo crescente senso di responsabilità, che lo spingeva a trovare una maniera per utilizzare la sua voce e il suo potere per scopi più gratificanti e duraturi della semplice fama.

Il tutto aveva un carattere così tipico dell’opera lirica, che Howard ha escogitato l’idea di strutturare l’intero film come un’opera in 3 atti. Dopo tutto, cos’altro poteva essere la vita di Pavarotti? Questo concetto ha dato forma all’intero progetto. Ora Howard poteva considerare il film come un’opera drammatica punteggiata da arie appassionate, sottolineando il contrasto tra uno spettacolo straordinario e i puri elementi umani del quotidiano.

“Ho visto il film come un’opportunità per esplorare la vita di Pavarotti attraverso del materiale video inedito e interviste confidenziali sia con lui, che con gli amici e i familiari più vicini”, dice Howard. “Ma ho anche capito che uno degli obiettivi più ambiziosi di Pavarotti era di ampliare la portata della sua arte, per fare innamorare dell’opera il maggior numero di persone possibile. A ogni occasione si faceva in quattro, che fosse insegnando o viaggiando nel cuore dell’America o della Cina, per mostrare alla gente il potere dell’opera. Perciò personalmente spero che il nostro documentario possa contribuire a portare avanti quel lavoro. Luciano amava così tanto la musica. E amava così tanto la gente. E voleva portare la bellezza della musica a quante più persone possibili nel mondo”.

A tutti piaceva molto l’idea di utilizzare l’aria splendidamente lirica della Turandot di Puccini, Nessun Dorma, come ritornello emotivo ricorrente. Non solo è una delle interpretazioni più apprezzate di Pavarotti, ma anche uno dei successi crossover più amati dei nostri tempi nel mondo della musica classica.

Senza limitarsi alle esibizioni, Howard e il suo team hanno passato al setaccio archivi pieni di interviste concesse da Pavarotti a talk show televisivi e riviste, alla ricerca di elementi significativi. Poi hanno condotto 53 nuove e approfondite interviste a New York, Los Angeles, Montreal, Londra, Modena e Verona tra aprile 2017 e giugno 2018.

Questa serie di conversazioni ha messo in campo i punti di vista non solo di mogli, familiari, studenti e colleghi sia del mondo dell’opera che del rock, ma anche i commenti di manager, promoter e addetti al marketing che hanno contribuito a delineare l’insolita traiettoria della sua carriera e a portare l’opera in luoghi in cui non era mai stata prima di allora.

Ognuna di queste conversazioni è stata una rivelazione che ha aperto nuove prospettive sui dubbi e sui tormenti più nascosti di Pavarotti e sul suo desiderio di conciliare le enormi ambizioni con gli amori e la vita di un uomo qualunque.

“Ho trovato particolarmente interessanti le interviste ai familiari”, dice Howard. “Sono interviste emotive, che non hanno rilasciato con facilità, ma sono loro grato perché penso che esprimano tutta l’umanità della sua storia, rendendo il nostro lavoro molto più della presentazione di un fantastico performer. Raccontano la storia di un viaggio complesso, fatto di alti e bassi, che tutti hanno percorso assieme”.

Poi sono arrivate le scoperte più sorprendenti del film: video amatoriali di Pavarotti mai visti prima. Questo materiale di filmati “fatti in casa”, custodito da familiari e amici, fatto di sguardi nudi e crudi all’uomo dietro il sipario, a volte è arrivato a togliere il fiato ai film-maker.

Il film si apre con uno dei passaggi più stupefacenti e onirici di tutti. L’anno è il 1995 e il luogo è Manaus, in Brasile, nel cuore della giungla amazzonica. Qui, nel piccolo e misteriosamente magnifico teatro dell’opera conosciuto come il Teatro Amazonas, dove lo stesso Caruso una volta ha cantato, vediamo Pavarotti con addosso i pantaloni di una tuta, che si dona in totale abbandono di fronte ad una misera manciata di passanti. Girato dal flautista Andrea Griminelli, che all’epoca viaggiava con Pavarotti, il video non era mai stato condiviso pubblicamente.

Molti dei rari filmati fanno parte della collezione privata di Nicoletta Mantovani, moglie di Pavarotti all’epoca della morte e madre di Alice, la loro figlia, oltre che responsabile della Casa Museo Luciano Pavarotti a Modena. La Mantovani ha generosamente offerto il suo supporto alla produzione sin dall’inizio.

Da vedere perché: il film è abbastanza autentico da essere amato dai fan di Pavarotti e abbastanza accogliente nei confronti di chi non conosce l’uomo e la sua musica. Per Pavarotti, infatti, la musica non doveva mai sembrare qualcosa di esclusivo o elitario. Per lui, l’opera era la musica della gente, di tutta la gente — in quanto piena zeppa di tutta la bellezza e il caos della vita di tutti i giorni.

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