La collezione Sportmax primavera estate 2024, che ha sfilato sulle passerelle di Milano Moda Donna, nasce da una riflessione sui cambiamenti della natura, ma anche sulla natura del cambiamento. Tracciando un’analogia tra i cicli stagionali e l’altrettanto ciclico scontro tra tradizione e progresso, mettendo in discussione il contrasto fra “Naturale” e “Culturale”, in un mondo che lotta per riconciliare i due regni e mantenerli in perfetto equilibrio.

Sportmax primavera estate 2024: il video del fashion show

Oggi, questo mondo è sempre più legato al rapido aggiornamento della tecnologia e di gadget sofisticati, viziati dalla dipendenza da piattaforme digitali e formattati per essere connessi a rapide e veloci gratificazioni. Viviamo così ipnotizzati dalla mondanità, perdendo il contatto con il lato più contemplativo del reale. Ma la rinuncia alla contemplazione sfuma pericolosamente verso un’apatica insensibilità: rendendoci voyeur più che partecipanti, tecnici più che poeti.

In questo mondo post-naturalistico, cerchiamo quindi di catturare e “salvare” ciò che resta della naturalezza intorno a noi preservandola artificialmente.  Chiediamoci allora: la natura, proprio come le antiche tradizioni e l’artigianato, diventerà un memento mori di meraviglie estinte, dove accurate repliche generate meccanicamente saranno l’unico modo con cui sperimentare la vita in futuro?

Esiste un futuro senza il riconoscimento del passato? L’artificiale è il nuovo naturale? La scienza è la nuova poesia?

Questi interrogativi, centrali per la narrativa della collezione di Sportmax, trovano risonanza nell’estetica giapponese e nelle sue incarnazioni storiche. Nella seconda metà del XIX secolo il Giappone influenzò il dinamismo dell’Art Nouveau, la moda della Belle Époque, le stilizzazioni degli anni ‘20, fino al più recente ritorno alla fine degli anni ’90: evocato nella poetica futuristica del periodo, consacrato da artisti emergenti nel mondo della musica, del cinema e della moda, come la geisha androide emulata da Björk per la cover dell’album “Homogenic”, o l’alter ego di Madonna in “Ray of Light”.

Un’ispirazione che torna nella ricerca della purezza e dei contrasti, nell’esplorazione di silhouette geometriche, in equilibrio tra controllo e astrazione. Divisa tra la simmetria architettonica di un kimono e le asimmetrie presenti in natura.

Una visione che evoca le cerimonie rituali di una geisha, la decostruzione dei suoi abiti e la cintura “Obi”, tradotta in varie forme e interpretazioni sartoriali: nell’audacia dei volumi e nella crudezza basata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione, parte della
filosofia estetica Wabi-Sabi.

In quest’atmosfera clinica il bianco prende vita in ogni sua sfumatura, dall’ottico al vaniglia, tra giochi di luci e texture. Sfumature acide e delicate, insinuandosi, animano questa natura asettica. Materiali strutturati e imbottiti alternano raso lucido, PVC ed eleganti materiali tech a texture opache come cotoni robusti, lino trattato, fibre di carta compattate e pure trasparenze.

Tra i dettagli dominanti, le chiusure in velcro generano tensione tra la minimale raffinatezza couture e il suo utilitarismo brutalista. Le stampe sono prestiti fotografi ci diretti dalle installazioni dell’artista ceco Krištof Kintera. Nelle atmosfere “Postnaturalia” di queste opere, lo sguardo distopico di Kintera rivisita erbari botanici con fiori creati da rifiuti elettronici, in affinità elettiva con il diario “Herbarium” di Emily Dickinson.

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credit image by Press Office – photo backstage by Josephine Lochen