Maneskin Teatro d’Ira Vol. 1 – A distanza di due anni dal debutto con “Il ballo della vita”, con 16 dischi di platino e 6 dischi d’oro messi a segno, reduci dalla vittoria della 71esima edizione del Festival di Sanremo con il brano “Zitti e Buoni” – già certificato disco d’oro che in pochi giorni ha raggiunto 18 milioni di streaming, i Måneskin hanno lanciato il 19 marzo il loro nuovo album: “Teatro d’ira – Vol. I”.

Maneskin Teatro d’Ira Vol. 1: la conferenza stampa

Un album nato a seguito degli ultimi anni di percorso del gruppo sui palchi e studio individuale, dove hanno maturato la dimensione live e capito che è la loro forma di espressione più rappresentativa del loro sound.

Riportare il trio analogico e far sentire bene i singoli strumenti è stato l’obiettivo alla base del disco: per questo, registrare al Mulino Recording Studio di Acquapendente (VT) è stato naturale. Un luogo dove hanno potuto esaltare la loro dimensione live, nella sua crudezza ed energia; concetti che si ritrovano anche nel titolo, dove il teatro si accosta all’ira, vissuta come catartica e in grado di cambiare le cose.

Spiega infatti Thomas, chitarrista: “Il Mulino è dove è nato tutto, in un certo senso. Abbiamo puntato tanto sulla presenza del power trio, e ci siamo dedicati a sperimentazioni tra noi quattro in sala. Il disco è frutto di un grande percorso e lavoro, nella scelta dei suoni partendo dall’amplificazione e dallo strumento stesso, registrando con banchi analogici. Abbiamo cercato di trasmettere la dimensione live all’interno del disco. E’ stato bello stare insieme, divertirci e non porci limiti e pensare già in un’ottica live, inserita completamente nel disco. Gli fa eco Ethan, batterista: “A proposito di ottica live, è un concetto che da sempre ci contraddistingue. Nasciamo live e sicuramente moriremo live: se pensiamo alle nostre origini, dalla strada, in Via del Corso a Roma, e poi a scuola, dove il pubblico lo devi conquistare, puntavamo a farlo sempre e soltanto cercando di essere noi stessi, grazie al trio musicale insieme alla voce. Un concetto che ci portiamo dietro da sempre e abbiamo trasposto all’interno dell’album: per questo è stato realizzato in presa diretta e il suono rappresenta la nostra natura evoluta, che cerchiamo di portare sul palco quanto in studio”.

Il disco è composto da 8 brani, in italiano e in inglese, lingua parte della loro natura e che grazie all’aspetto internazionale potrebbe aprire loro sempre più porte. Dicono: “Siamo partiti dall’inglese, sia con le cover che i pezzi originali. Pensiamo di essere un progetto valido anche per l’estero, scrivere in inglese fa parte di noi. Siamo anche stati cercati per realizzare insieme un brano che uscirà a breve da una band inglese, i The Struts”.

Brani che toccano estremi opposti a volte ma con un denominatore comune, quella del live, in grado di dare risalto alle sfaccettature della loro espressione artistica. Senza limitazioni per argomenti, strutture, durate e linguaggio, dove raccontare se stessi in una grande varietà e il suono degli strumenti vanta un’anima cruda. Brani dalla gestazione che non segue un iter stabilito, ma sempre casuale, in base all’ispirazione di ciascuno.

I testi non si preoccupano di essere troppo edulcorati, anzi puntano molto sulla potenza delle immagini descritte, in un inno alla libertà di essere se stessi, in ogni sfumatura. Spiega Damiano, cantante: “Ad esempio “I wanna be your slave” ha un testo molto colorito. Non vuole essere provocatorio fine a se stesso, ma è modo di descrivere con crudezza i vari aspetti della sessualità, e come possono essere influenti nella propria vita. Il brano gioca sui contrasti di ruolo, ed è un modo per affermare che una persona può essere entrambe le cose senza dover per forza scegliere quale delle due dover essere. Ognuno può avere tante sfaccettature e personalità, e il discorso è incentrato sulla sessualità, un lato dove bisognerebbe potersi esprimere di più. Ci sono così tante variabili e varietà che è inutile racchiuderla in scompartimenti, questo è il nostro modo per dirlo”. Aggiunge Victoria, bassista: “E’ stato uno dei primi brani scritti a Londra, stando nei club a sentire i gruppi suonare ci siamo lasciati ispirare tantissimo. In quei giorni abbiamo scritto anche “For Your Love”, creando molti momenti diversi a livello strumentale e dando spazio agli assoli di chitarra e batteria, e al riff di basso, in un intreccio venuto molto naturale”.

Ed è “In nome del padre”, il pezzo più strong dell’album secondo la band, l’ultimo scritto componendo in sala prove a Roma, dove hanno alzato i volumi e si sono dedicati alle sonorità più forti. E sul testo, Damiano tiene a fare una precisazione: “Assolutamente non vogliamo essere blasfemi, non ci stiamo auto proclamando musica religiosa, nè fregiandoci di un’importanza così aulica. Il senso è che facciamo musica con talmente tanta passione, tanta importanza che per noi è sacrale. Un pezzo contro le situazioni che hanno cercato di porci dei limiti, dove la nostra rabbia è catartica”.

“Lividi sui gomiti” invece, segue un filone rock hip-hop; un crossover molto gradito ai Måneskin, dove poter parlare di musica, sonorità, potenza e del loro percorso, per portare alla luce tutto quello che c’è dietro al loro lavoro, “sacrifici importanti, studio, impegno e disciplina”.

Alla ballad del disco ci pensa “Coraline” che, tengono a precisare, non è una favola a lieto fine, come spesso accade nella vita reale: “Non è la storia di un uomo-cavaliere, il principe azzurro che salva principessa in difficoltà. Abbiamo voluto descrivere una situazione metaforizzata e messa in musica. E’ la storia, da interpretare a piacimento, dell’appassimento di ragazza, dove il cavaliere è un semplice spettatore inerme, impotente davanti a quello che sta succedendo”. Musicalmente, vissuta come un film, un crescendo di vari momenti dove sperimentare e giocare con una struttura particolare, “dall’intro arpeggiata fino al ritornello che esplode, con un intermezzo”.

“Paura del buio”, scritta a Roma, è un brano che parla del rapporto conflittuale tra l’artista e la musica, sia fonte di giovamento e positività, che di grande richiesta di energie. Anche qui, molto spazio alla sperimentazione e al gioco, con un sound più diverso: la presenza dell’arpeggiato ritorna ridondante stile carillon nelle strofe, e cresce emergendo nel ritornello, scoppiando nella parte estrema dello special. Spiega Victoria: “Abbiamo sperimentato un sound diverso dagli altri brani, ci siamo divertiti a farlo, e abbiamo lavorato sull’arpeggio. Siamo soddisfatti del risultato e non vediamo l’ora di suonarlo dal vivo, che è la cosa che ci manca di più. Siamo felici delle prime date sold out e del resto del tour. Non aspettiamo altro, la dimensione live è la più bella per noi, dove ci sfoghiamo, ci divertiamo e ce la godiamo al massimo. Anche il confronto diretto con il pubblico ci manca molto, per quello scambio di energie sul palco, che è unico”.

E in risposta ai puristi del rock che li mettono in dubbio, dicono: “Non vogliamo incasellarci, siamo solo ragazzi ventenni che suonano questo tipo di musica. Non ce ne sono molti in Italia che suonano gli strumenti analogici, ben venga questa corrente. Siamo liberi e facciamo quello che ci piace. Abbiamo certo le nostre influenze, siamo cresciuti con grandi gruppi sia emergenti che consacrati, e se la mente è aperta ognuno può godersi quello che facciamo, apprezzando senza per forza fare paragoni. Abbiamo una nostra identità e vogliamo portarla nel mercato mainstream, mantenerla. Insomma fare un disco del genere in questo momento, portare quel tipo di pezzo a Sanremo, se non è rock questo! Non siamo i Led Zeppelin, ma dateci il tempo, non vogliamo imitare nessuno”.

Un modo di essere che li fa apprezzare sia da chi li segue fin dall’inizio che dai loro nuovi fan, per una nuova generazione che del rock, a volte, conosce poco, complice anche la corrente trap in voga. Dice Thomas: “I nostri coetanei non sono abituati a questo tipo di musica, forse anche a causa della mancanza di location come pub e delle jam session, ma molti la vedono come una novità da scoprire. I ragazzi sono molto incuriositi, non sta rimanendo in una nicchia”.

Aggiunge Victoria: “La nostra musica può avere un effetto gradito anche se non sei un appassionato del genere, alla fine molti non sono abituati perché non è il più seguito in Italia al momento, ma alla fine può esserlo perché pensare in termini di generi distinti è limitante. Spesso poi alle persone non interessa, se il brano piace lo sentono a prescindere. Non ci arroghiamo la presunzione di dire di riportare in luce le band, semplicemente facciamo la nostra musica come qualunque altro artista ma se questo poi può dare ispirazione ai ragazzi per suonare è una cosa fantastica. Non sentiamo questa pressione, dovere o compito, noi semplicemente siamo noi stessi, ma se poi questo porta a risvolti positivi, ancora meglio”. E non solo nella musica.

Conclude Damiano: “Vediamo sempre più ragazzi informati su quello che succede, con lo svilupparsi di categorie che negli anni nella società sono state minoranze. La nostra generazione si sta interessando, si sente rappresentata, e si sta aprendo a livello comunicativo. Si parla di più e meglio, e anche a livello pratico, liberandosi dai preconcetti. Più gente se ne accorge, più le persone si informano, più se ne parla finché non ce ne sarà più bisogno perchè diventerà normalità. Perchè la vera rivoluzione è essere se stessi”.

Dal 14 dicembre, Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan torneranno a calcare il palco, il più grande desiderio di ogni artista e soprattutto per loro: partirà infatti a fine anno il tour di 11 date per la prima volta nei più importanti palazzetti italiani. Le prime quattro date di Roma e Milano – al Palazzo dello Sport di Roma (14 e 15 dicembre) e al Mediolanum Forum di Assago (18 e 19 dicembre) – sono già sold out. Sarà Milano a triplicare, con uno show al palazzetto di Milano il 22 marzo 2022. Il 20 marzo saranno all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno (BO), il 26 marzo al PalaPartenope di Napoli, il 31 marzo al Nelson Mandela Forum di Firenze, il 3 aprile al Pala Alpitour di Torino, l’8 aprile al PalaFlorio di Bari. Il tour si concluderà il 23 aprile 2022 con un live evento all’Arena di Verona, che aprirà la stagione dei grandi concerti 2022 dell’Arena.

Ma prima di tornare on stage con il tour, per loro ci sarà un’altra grande occasione: rappresenteranno l’Italia all’edizione 2021 dell’Eurovision Song Contest prevista per maggio a Rotterdam, “un palco importante, per un concerto tutto nostro, sarà speciale e memorabile”. E anche se hanno dovuto edulcorare il loro testo, pena la squalifica, non è un dramma: “Non ci ha fatto piacere, ma è un discorso di buon senso, legato al regolamento. E’ più importante per noi partecipare a un’occasione del genere. Non abbiamo modificato completamente il testo o la musica, solo tolto qualche parolaccia: in questo caso deve prevalere il buon senso, sarebbe presuntuoso non partecipare per questo. Bisogna anche rendersi conto della realtà dei fatti, siamo ribelli ma non scemi!”.

Aggiunge Victoria: “La cosa importante per noi è esprimerci con la nostra musica. Andare all’Eurovision con un brano del genere ci rende felici e orgogliosi, magari si apriranno altre porte, è un modo per farci vedere ad un pubblico europeo più ampio. Le parole tolte non sono il fulcro e il messaggio della canzone, solo una parte, se avessimo potuto non l’avremmo cambiata, però c’è un regolamento ed è sciocco farci eliminare per questo”.

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